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mercoledì 10 giugno 2020

“Storie Alfa Romeo” – La rivoluzione di forme e colori: 33 Stradale, Carabo e Montreal



L’auto: fotografia dell’epoca
“Occhi” per fari, “bocca” per calandra, “volto” per frontale – e, naturalmente, “corpo” vettura, con “spalle” e “fianchi” disegnati dai passaruota. Queste similitudini antropomorfe si usano anche oggi. Come nascono, e perché? Le prime vetture sono letteralmente “carrozze senza cavalli”, prive di soluzioni decorative specifiche. Dagli anni trenta i “carrozzieri” (il nome è rimasto) diventano molto bravi a lavorare il metallo: battono le lastre a mano, direttamente su un “master” in legno, dando vita ad autentici pezzi unici – con linee tondeggianti e sensuali che sembrano inseguire un ideale organico. Con l’evolversi della produzione industriale, le forme tendono invece a semplificarsi, perché le attrezzature di stampaggio dell’epoca non consentono altrettanta raffinatezza e tridimensionalità. A un certo punto, alla fine degli anni Sessanta, le due ispirazioni stilistiche si biforcano nettamente. La differenza tra “auto antropomorfa” e “auto di domani” è rappresentata in modo plastico dalla 33 Stradale e dalla Carabo – due modelli Alfa Romeo sviluppati a partire dalla stessa base tecnica.

Nate dalla stessa piattaforma
La 33 Stradale e la Carabo non potrebbero essere più diverse. L’una tutta nervi e muscoli, come un atleta ritratto nel pieno dello sforzo agonistico; l’altra tutta linee rette e angoli, tesa a cogliere l’essenza della mobilità e a proiettarla nel futuro. Molto più che due interpretazioni: due mondi diversi.
La base tecnica comune di queste due vetture rappresenta la sintesi di cinquant’anni di esperienza Alfa Romeo nelle corse. Progettazione ingegnosa e rigorosa, perizia e coraggio nella scelta dei materiali, uno stile che sposa innovazione tecnologica e creatività: sono gli ingredienti di progetto della Tipo 33.

Voglia di correre
Tutto nasce dalla voglia di correre – una voglia che non si è mai spenta. Nel 1964 il Presidente Luraghi sente che è il momento di un ritorno ufficiale. Per ricostituire la Squadra Corse acquisisce l’Autodelta, un’azienda di Udine che è già partner privilegiato per la produzione delle TZ. Con Autodelta rientra in Alfa Romeo anche Carlo Chiti, che già ha lavorato al Portello dal 1952 al 1957 e prende ora il ruolo di responsabile della scuderia ufficiale.
Nello stesso anno, parte il progetto 33. Luraghi chiede al suo team una vettura in grado di competere nelle “categorie del momento” per successo di  pubblico e attenzione mediatica: il mondiale sport prototipi e le cronoscalate.

Autodelta
A metà degli anni sessanta, Autodelta si trasferisce a Settimo Milanese – più vicino allo stabilimento Alfa Romeo, ma soprattutto alla pista prove di Balocco.
Il primo telaio Tipo 33 progettato da Alfa Romeo entra nelle officine Autodelta nel 1965. È una struttura tubolare a “H”, asimmetrica, realizzata in lega di alluminio, che integra al suo interno i serbatoi  del carburante. Nella parte frontale, una struttura in magnesio sostiene in modo ottimale sospensioni anteriori, radiatori, sterzo e pedaliera. Il gruppo motore/cambio è montato longitudinalmente in posizione posteriore centrale. La carrozzeria è in fibra di vetro, e questo consente di limitare la massa totale della vettura ai 600 chili che il regolamento prevede come minimo. Ancora una volta, la leggerezza è l’arma segreta di Alfa Romeo.

La vittoria nei Campionati Mondiali Marche del 1975 e del 1977
Un progetto così ambizioso (e innovativo) ha tempi di sviluppo non brevissimi. Prima che la 33 sia pronta per le gare passano quasi due anni. Per le prime prove la vettura adotta il 4 cilindri da 1.570 cm³ della TZ2; nel frattempo viene sviluppato un propulsore interamente nuovo, con il quale si passa a una configurazione 8 cilindri a “V”, con due litri di cilindrata e 230 cavalli di potenza al debutto.
La prima 33 a correre viene subito soprannominata “Periscopica” per la presa d’aria che spunta sopra il roll-bar. Per l’esordio viene scelta la cronoscalata di Fléron, vicino a Liegi; a guidare l’auto è il capo-collaudatore dell’Autodelta, Teodoro Zeccoli. Dopo anni di preparazione meticolosa, il 12 marzo 1967 la 33 entra nel mondo delle competizioni. E vince subito. 
È la prima di una lunga serie di successi sui circuiti più prestigiosi. Una cavalcata che porterà la 33 sul tetto del mondo, con le vittorie iridate nel Campionato Marche del 1975 e del 1977.

Il nobile fiorentino che voleva fare il designer

Quando Alfa Romeo decide di produrre la 33 in piccolissima serie per i privati, ha bisogno di una nuova veste che ne intepreti l’agonismo in chiave stradale. Il progetto viene affidato a Franco Scaglione.
Nato a Firenze da famiglia di antica nobiltà, Scaglione studia per diventare ingegnere aeronautico fino al momento del servizio di leva; poi parte per il fronte libico, dove verrà fatto prigioniero a Tobruk. Torna in Italia a fine 1946, deciso a non riprendere gli studi, e sceglie di diventare stilista auto: prima con Pinin Farina, poi con Bertone, poi come designer indipendente.
Scaglione mette nel progetto della 33 Stradale tutta la sua perizia tecnica e audacia creativa, creando un capolavoro in cui l’innovazione di stile si fonde con la ricerca dell’aerodinamica e della funzionalità.

La 33 Stradale
Il cofano della 33 Stradale si apre completamente per migliorare l’accesso alle parti meccaniche, e – per la prima volta su un’auto “street-legal” – le portiere sono “a elitra”, al fine di agevolare l’ingresso in una vettura alta meno di un metro. Le uniche differenze rispetto alla versione da pista sono 10 centimetri in più di passo, e telaio in acciaio invece che in alluminio. Il motore è lo stesso della Tipo 33, interamente in leghe di alluminio e magnesio, con iniezione meccanica indiretta e lubrificazione a carter secco. La distribuzione è affidata a un bialbero a camme in testa, con due valvole e due candele per cilindro. Su un auto così leggera, 230 cavalli consentono di raggiungere la velocità massima di 260 km/h, e 100 km/h da fermo in 5 secondi e mezzo.

L'anteprima a Monza
La vettura viene presentata ufficialmente al Salone di Torino del 1967, ma svelata qualche settimana prima a un pubblico appassionato e competente. È il 10 settembre 1967, e a Monza si disputa il Gran Premio d’Italia, nona prova del mondiale di Formula 1. Un GP passato alla storia per un’epica rimonta di Jim Clark su Jack Brabham – e per l’anteprima di una delle più belle auto sportive di sempre. Quando nasce, la 33 Stradale è la sportiva più costosa sul mercato, venduta a quasi 10 milioni di lire del tempo contro i 6/7 delle rivali più prestigiose. Gli esemplari realizzati con carrozzeria Scaglione sono solo 12. Chi li compra fa l’investimento della vita: oggi sono praticamente senza prezzo.

L'auto-astronave
La 33 Stradale rappresenta il culmine del concetto di “auto antropomorfa”. Ma la ricerca stilistica Alfa Romeo percorre anche altre direzioni. L’idea di un’“auto del futuro”, simile a un’astronave, si manifesta negli anni cinquanta con la “Disco Volante” disegnata da Touring: una spider frutto di avanzati studi aerodinamici, con parafanghi bombati lateralmente e raccordati al corpo vettura basso e filante.
Al Salone dell’Auto di Parigi del 1968 viene presentata una “dream car” che rappresenta l’evoluzione di questa idea estrema: è la Carabo disegnata dal trentenne Marcello Gandini per Bertone.

Gemella diversa: la Carabo
La Carabo è sviluppata sulla meccanica della 33 Stradale – utilizzata in quegli anni anche da altri designer per esercizi one-off come l’Iguana di Giorgetto Giugiaro, la 33 Coupé Speciale e la Cuneo di Pininfarina, la Navajo di Bertone. Anche l’altezza è uguale, meno di un metro, ma sono sparite completamente le linee tondeggianti: tutto nella Carabo è tagliente, dal profilo a cuneo alle porte con apertura “a forbice”. Il nome Carabo prende ispirazione dal “Carabus auratus”, un coleottero  dai colori metallici e brillanti, gli stessi che vengono proposti sulla vettura: verde luminescente con dettagli arancione. Da questo momento, Alfa Romeo inizia a rivolgere un’attenzione particolare ai colori estrosi e alle tecniche di verniciatura speciali, elementi in grado di evidenziare ancora di più l’unicità del Marchio. Una ricerca cromatica che continuerà con la Montreal.

La Montreal
Nel 1967 tutte le nazioni del mondo partecipano all'Esposizione Universale di Montreal con le loro migliori realizzazioni tecniche e scientifiche. Ad Alfa Romeo viene richiesto di creare un simbolo tecnologico per l'Expo – un modello che rappresenti "la massima aspirazione dell'uomo in fatto di automobili”. Satta Puliga e Busso chiedono la collaborazione di Bertone, e Gandini viene incaricato di disegnare la carrozzeria e gli interni. Il risultato è un grande successo. I visitatori nordamericani apprezzano moltissimo l'eleganza e i contenuti della vettura. Sull’onda del consenso di pubblico, viene sviluppata una versione di serie, presentata al Salone di Ginevra nel 1970. A differenza del concept originario, questa Montreal ha un motore V8 derivato dalla Tipo 33, portato a 2.6 litri e limitato a 200 cavalli. Il modello colpisce per la straordinaria gamma di colori, sia pastello sia metallizzati: dal verde (già usato per la show car dell’Expo) all’argento, dall’arancio dall’oro. La ricerca cromatica è una tradizione Alfa Romeo che troveremo ancora nelle prossime storie – e che continua anche oggi, con la proposta di una nuova palette di colori carrozzeria: Rosso Villa d’Este, Ocra GT Junior e Verde Montreal. Tinte ispirate ai 110 anni di vita del Marchio e dedicate ad alcuni dei suoi modelli più gloriosi.

Credits: FCA Heritage

sabato 6 giugno 2020

“Storie Alfa Romeo”: con Duetto la spider italiana sbarca a Hollywood

Hollywood nel destino
“It is a very forgiving car. Very pretty, too”. Così parla di Duetto un gentleman driver d’eccezione: Steve McQueen, che nell’estate del 1966 viene chiamato da Sports Illustrated a provare la spider italiana insieme ad altre “fast friends”. Quella da lui guidata è una delle prime Alfa Romeo 1600 Spider sbarcate negli States, dopo l’esordio al Salone di Ginevra di pochi mesi prima. Il giudizio coglie insieme l’essenza Duetto e l’unicità Alfa Romeo: piacere di guida e bellezza allo stato puro.
È un parere anche tecnicamente autorevole. Steve McQueen è collezionista di supercar e pilota di buon livello, capace di arrivare secondo nella sua categoria alla 12 Ore di Sebring del 1970 in coppia con Peter Revson.
Un anno dopo, alla guida di Duetto c’è Dustin Hoffman, che corre a tutto gas sulle note di Simon & Garfunkel nell’indimenticabile “Il laureato”. Immagini che entrano nella storia del cinema, e danno il via a un filone: la Duetto è utilizzata come auto di scena in centinaia di opere del piccolo e del grande schermo, e diventa essa stessa un “cult”. Anche il campione del mondo dei pesi massimi Muhammad Ali ne vuole una: riprendendo il suo motto “Float like a butterfly, sting like a bee”, la personalizza con la targa “Ali Bee”.
La carriera da star di Duetto inizia così. Noi però facciamo un passo indietro, e andiamo a conoscere le sue radici: l’innovazione tecnica di Giulia e il fascino di Giulietta Spider.
Nata per scoprire l’America
Anche nella storia della Giulietta Spider c’è un Hoffman protagonista. Non Dustin l’attore, ma Max Edwin Hoffman: ex pilota da corsa, costretto dal nazismo a lasciare l’Austria per gli Stati Uniti, divenuto in pochi anni l’importatore americano di riferimento per le Case auto europee.
Max è molto di più che un semplice “trader”: è un profondo conoscitore del mercato. Orienta le politiche commerciali, chiede specifici modelli, suggerisce variazioni di stile – e contribuisce con i suoi consigli alla creazione di alcune auto sportive tra le più ammirate di sempre. Tra queste c’è la Giulietta Spider.
La Spider per Hoffman è un chiodo fisso. Inizia a chiederla ad Alfa Romeo nel 1954, subito dopo il lancio della Giulietta Sprint. Sente che può diventare l’auto perfetta per la Pacific Coast – e sa che tutti a Hollywood ne vorranno una. È così sicuro del suo successo, che prima ancora di vedere i disegni definitivi si dice disposto ad acquistarne diverse centinaia.


La Bella Signorina
Hoffman riesce a convincere Francesco Quaroni e Rudolf Hruska, e il progetto parte. Lo stile è messo in gara tra i due designer del momento: Bertone e Pinin Farina. Bertone presenta una versione estrema, figlia del concept “2000 Sportiva” di Franco Scaglione: frontale appuntito, fari carenati, pinne posteriori. La proposta di Pinin Farina è disegnata da Franco Martinengo, e viene preferita per l’eleganza e l’equilibrio classico delle forme.
La “bella signorina”, come la definisce Pinin Farina, nasce con parabrezza panoramico e vetri laterali a scorrimento. All’interno della portiera non c’è maniglia: una corda aziona l’apertura. Solo più tardi arriveranno un parabrezza tradizionale, vetri laterali discendenti, pannelli porta attrezzati, tettuccio ripiegabile, maniglie esterne e nuovi interni.
Un concept da sportiva pura, confermato da prestazioni estremamente brillanti. La Spider adotta il motore della Giulietta: un quattro cilindri in linea  da 1.290 cm³ di cilindrata, che eroga 65 cavalli e spinge l’auto a 155 km/h. La potenza continua a salire con le successive versioni – a partire dalla Spider Veloce del 1958 da 80 cavalli.
Flessuosa, giovane, scattante. E bella. Giulietta Spider piace al cinema: Fellini la fa comparire in “La Dolce Vita”, Antonioni la sceglie come auto di Alain Delon in “L’eclisse”. Diventa uno status symbol: amata da personaggi famosi, desiderata da tutti.
Made in Italy
Viene il momento di dare una erede alla Giulietta Spider. Luraghi e il suo team sanno che non basta fare un’ottima macchina: bisogna ricreare lo stesso carisma. La presentazione dev’essere un evento – una cerimonia solenne, un po’ investitura e un po’ incoronazione.
Alfa Romeo pensa in grande. Per il lancio USA organizza una crociera, e invita i personaggi più esclusivi dello spettacolo, dello sport e della moda. A bordo ci sono 1.300 VIP, tra cui Vittorio Gassman, Rossella Falk e la soprano Anna Moffo. La turbonave italiana Raffaello viaggia da Genova a New York, facendo scalo a Cannes in occasione del Festival del Cinema – e durante tutta la crociera sul ponte della nave fanno bella mostra di sé tre esemplari della nuova Spider: uno verde, uno bianco e uno rosso. Sottolineando l’italianità del suo prodotto, Alfa Romeo anticipa di più di un decennio l’intuizione comunicativa del “Made in Italy”.
L’eredità tecnica Giulia
L’Alfa Romeo Spider 1600 nasce sul pianale della Giulia, con passo ridotto a 2.250 mm; la meccanica è quella della contemporanea Giulia Sprint GT Veloce (evoluzione della Sprint GT). Al lancio, Duetto è equipaggiata con il classico 4 cilindri bialbero da 1.570 cm³ in lega leggera, capace di scaricare sulle ruote 108 cavalli con un peso a secco di meno di 1.000 chili. La velocità massima è di 185 km/h.
“Duetto” o “Osso di Seppia”?
Il nome del modello è una storia in sé. Per sceglierlo, viene organizzato un concorso a premi in collaborazione con tutti i concessionari d'Europa. Vince “Duetto” – ma emerge una questione di diritti (per l’omonimia con un biscotto al cioccolato), che impone di lanciare la vettura come “Alfa Romeo Spider 1600”.
Il nome Duetto resta in sottofondo, si consolida nella memoria degli appassionati e diventa il soprannome comune di tutte le generazioni della vettura. Altri se ne aggiungeranno: la Spider del 1966, prima della serie e ultimo capolavoro di Battista Pinin Farina, è detta “Osso di Seppia” per la sua forma ellissoidale: frontale e coda arrotondati, laterali convessi e linea di cintura molto bassa. La seconda è la “Coda Tronca” del 1969, che si distingue per il taglio aerodinamico della parte posteriore. La terza è l’“Aerodinamica” del 1983, nata dagli studi in galleria del vento. Nel 1989 arriva l’ultima generazione, la cosiddetta “IV Serie” – un’auto dalla linea pulita e filante, in qualche modo un ritorno alle origini.
Quattro generazioni, oltre 124 mila unità prodotte in 28 anni: la più lunga vita di sempre per un modello Alfa Romeo.

Credits: FCA Heritage

lunedì 25 maggio 2020

“Storie Alfa Romeo”, quinta puntata: “Gazzelle” e “Pantere” sulle strade italiane


Nell’Italia del dopoguerra, le Alfa Romeo sono un mito. Hanno dimostrato su pista e su strada di essere più veloci di qualsiasi altra auto. Sono potenti, e vincono sempre – come il bene sul male. Hanno tutte le caratteristiche tecniche e simboliche per diventare le auto dei Corpi dello Stato. 
Il legame tra Alfa Romeo e le Forze dell'Ordine è un piccolo pezzo di storia della Repubblica. A partire dagli anni cinquanta, le Alfa Romeo vengono selezionate per il servizio di pronto intervento. Diventano le “volanti”, una presenza familiare per i cittadini, ed entrano nel linguaggio comune: quelle della Polizia sono ribattezzate “Pantere”, e quelle dei Carabinieri “Gazzelle”. Due metafore che sottolineano potenza e agilità. 
La prima Pantera è un’Alfa Romeo 1900 del 1952: le sue linee aggressive ispirano il nome stesso. 
La prima Gazzella è di pochi anni dopo. La più famosa di tutte è la Giulia Super; ma le Forze dell’Ordine arruolano moltissimi altri modelli Alfa Romeo, praticamente tutti i più importanti, dalla Matta all’Alfasud, dall’Alfa 75 all’Alfetta, dalla 156 alla Giulia di oggi. 

La storia del rapporto con le Forze dell’Ordine corre parallela alla storia dell’evoluzione Alfa Romeo. E questo tema ci porta a fare la conoscenza di un altro protagonista: il torinese di origine sarda Orazio Satta Puliga, un grande innamorato di Alfa Romeo. 
A lui si deve la famosa frase: “Ci sono molte Marche di automobili, e tra esse l’Alfa occupa un posto a parte. È una specie di malattia, l’entusiasmo per un mezzo di trasporto. È un modo di vivere, un modo tutto particolare di concepire un veicolo a motore”. 

Nominato direttore della progettazione nel 1946, Satta Puliga ha davanti a sé un arduo compito: non solo ricostruire quanto la guerra ha distrutto, ma anche trasformare un’azienda artigianale in una manifattura moderna, continuando sulla strada avviata da Ugo Gobbato. 
Satta Puliga inizia subito. Al suo arrivo, Alfa Romeo produce al Portello ogni singola parte meccanica, in base a criteri di alta artigianalità; lui razionalizza il processo, esternalizza i componenti secondari e abbatte i costi. E intanto pensa a creare le nuove Alfa Romeo “di serie”, da costruire con le più efficienti metodologie tecniche e organizzative disponibili. 

La 1900 di Satta Puliga del 1950 è la prima Alfa Romeo con la guida a sinistra, e la prima ad adottare una struttura a scocca autoportante. Ha abbandonato i tradizionali 6 e 8 cilindri per un nuovo motore con frazionamento a 4 cilindri, testata in alluminio e due assi a camme comandati da catena. Il motore è alimentato da un solo carburatore, e offre brillantezza con una classe fiscale contenuta. La 1900 eroga 80 cavalli, è scattante e veloce come ci si aspetta sia un’Alfa Romeo, ma è anche molto facile da guidare. In altre parole, si rivolge a un mercato più grande. Lo slogan che accompagna il lancio è: “La vettura di famiglia che vince nelle corse”. 
La 1900 è anche la prima Alfa Romeo a nascere su catena di montaggio. Una vera rivoluzione: i tempi di produzione dell’auto completa scendono da 240 a 100 ore. Il nuovo approccio porta a un successo commerciale mai visto: da sola, 1900 vende più di quanto avesse fatto l’intera Alfa Romeo fino a quel momento. 
Il risultato nasce anche da un’accorta gestione del ciclo di prodotto. Vengono introdotte varianti ad alte prestazioni (la 1900 TI, la 1900 C Sprint e Super Sprint, la 1900 Super) che vincono importanti competizioni internazionali di categoria. 

E continua la collaborazione con i carrozzieri: su meccanica 1900 nasce la serie delle concept car BAT (Berlinetta Aerodinamica Tecnica), firmate da Bertone e disegnate dal giovane Franco Scaglione. 
Lo stesso motore della 1900 viene anche adottato dall’AR51, più nota come “Matta”: un 4x4 nato per sostituire i fuoristrada post-bellici delle Forze Armate italiane. 

Se con la 1900 Alfa Romeo ha imboccato la strada della produzione in serie, è con Giulietta che si trasforma in una grande fabbrica di automobili. L’uomo che guida la trasformazione è Giuseppe Luraghi. 

Nato a Milano, nei suoi anni universitari alla Bocconi ha anche praticato la “nobile arte” della boxe. Quando entra nelle nostre storie è già riconosciuto come un manager di grande spessore, con una lunga esperienza in Pirelli. Dal 1951 al 1958 è direttore generale di Finmeccanica, la holding che controlla Alfa Romeo. Dopo un breve parentesi in Lanerossi, torna nel 1960 come presidente di Alfa Romeo stessa, ruolo che manterrà fino al 1974. 

Scrittore, giornalista, editore, Luraghi è promotore di iniziative culturali anche in ambito aziendale. Nel 1953 affida a Leonardo Sinisgalli, “il poeta ingegnere”, il compito di creare una rivista che unisca in dialogo la cultura umanistica, la conoscenza tecnica e l'arte. Nasce così “La Civiltà delle Macchine”, su cui scrivono anche Ungaretti e Gadda. 
Al suo arrivo in Alfa Romeo, Luraghi rivoluziona la struttura chiamando in azienda il progettista Rudolf Hruska, e Francesco Quaroni per riorganizzare i processi industriali. C’è una grande opportunità da cogliere: il Marchio ha eccezionale visibilità, le sue vittorie sportive esaltano e fanno sognare milioni di persone. Occorre dare a tutto questo un riscontro commerciale. Siamo alla vigilia del boom economico, e l’auto è il bene più desiderato: il possesso di un’Alfa Romeo deve diventare la prova visibile del raggiunto benessere. 

Da prodotto di élite a oggetto aspirazionale: la Casa concentra in questa direzione le sue risorse progettuali e industriali. E Giulietta nasce per essere il modello della svolta – che fa crescere le vendite, ma al tempo stesso conferma la tradizione tecnica e la vocazione sportiva del Marchio. 

Il nuovo modello ci riporta al legame di Alfa Romeo con le Forze dell’Ordine. La prima Gazzella dei Carabinieri è proprio una Giulietta destinata al servizio di pattuglia, ed entra in servizio già equipaggiata con impianto radio per il collegamento con la Centrale. Nel linguaggio dell’Arma, la Gazzella rappresenta il pilota di radiomobile: veloce, agile e resistente. Queste caratteristiche vengono immediatamente trasferite alla vettura. 

Più corta, più stretta, più leggera della 1900, Giulietta porta Alfa Romeo in un segmento nuovo, per un nuovo pubblico. Offre linee moderne e filanti all’esterno e grande abitabilità all’interno, insieme con tenuta di strada, ripresa e velocità. Il suo motore (interamente in alluminio) eroga 65 cavalli per una velocità massima di 165 chilometri orari. 

Al Salone di Torino del 1954, Giulietta fa il suo esordio in versione coupé. Giulietta Sprint, disegnata da Bertone, è una vetturetta bassa, compatta e slanciata che diventa un “instant classic”. Da notare che la sportiva nasce prima del modello standard: una scelta poco convenzionale (e molto Alfa Romeo), riproposta pochi anni fa da Giulia Quadrifoglio. 
Giulietta raggiunge un livello di popolarità eccezionale, che le vale il soprannome di “fidanzata d'Italia”. Il risultato di vendite è altrettanto straordinario: oltre 177 mila unità. 

Solo una vettura rivoluzionaria potrà sostituire Giulietta. Satta Puliga lo sa bene. E la sua squadra (Giuseppe Busso, Ivo Colucci, Livio Nicolis, Giuseppe Scarnati e il collaudatore Consalvo Sanesi) sviluppa una vettura che è decisamente avanti rispetto al suo tempo. 

Giulia è una delle prime vetture al mondo con struttura portante a deformazione differenziata. La parte anteriore e posteriore è studiata per assorbire gli urti, e l’abitacolo è estremamente rigido per proteggere gli occupanti: soluzioni che diventeranno obbligatorie solo molto più tardi. 
Il motore bialbero 1.6 litri della Giulia rappresenta una evoluzione del 1.3 quattro cilindri, e si distingue per le valvole di scarico raffreddate con inserti di sodio. 

Anche il design di Giulia è rivoluzionario. Giulia è compatta, ben proporzionata nei volumi e con uno stile unico. Il frontale basso e la coda tronca sono ispirati da motivazioni aerodinamiche. “Disegnata dal vento”, recita la pubblicità di lancio. Grazie all’innovativo lavoro di sviluppo in galleria del vento, il Cx di Giulia è straordinario per l’epoca: solo 0,34. 
Il modello riscuote un successo eccezionale: oltre 570 mila vendite complessive (più del triplo di Giulietta). Giulia diventa un’icona italiana. 
Chi visita il Museo Storico di Arese trova una sala dedicata all’Alfa Romeo nel cinema. Tra molte presenze illustri, Giulia spicca come protagonista assoluta di molti film “poliziotteschi” del tempo – nati come “B-movie”, e diventati poi oggetto di culto. In queste pellicole dove “guardie e ladri” si sfidano, Giulia è spesso l’auto di entrambi.

Credits: FCA Heritage

mercoledì 6 maggio 2020

“Storie Alfa Romeo”, terza puntata: la 6C 2500 Villa d’Este, sintesi di eleganza, novità tecniche, prestazioni, prestigio.

Il simbolo di un'epoca
Quando la 6C 2500 carrozzata da Touring sfila sulla passerella di Cernobbio, nella primavera del 1949, è chiaro a tutti chi vincerà la Coppa d’Oro. L’unicità e la classe delle sue linee sono tali che viene naturale conferirle “ad honorem” il nome del Concorso d’Eleganza più importante del mondo.
Ma la 6C 2500 Villa d’Este non è solo una vetta di bellezza stilistica. Questa vettura è al tempo stesso un punto di arrivo del modo artigianale di fare auto, e il punto di svolta che annuncia una organizzazione produttiva più moderna. 

Un trevisano che ha girato il mondo
Facciamo un passo indietro. Quando nel 1939 nasce la 6C 2500, sono già sei anni che alla guida del Portello c’è l’ingegner Ugo Gobbato. All’Alfa Romeo Gobbato ha portato un importante bagaglio di esperienza industriale: dopo la laurea in Germania, ha diretto le officine Marelli e il Lingotto di Torino, ed è stato tra i principali artefici della realizzazione “da prato verde” della prima, gigantesca fabbrica di cuscinetti a sfera dell’Unione Sovietica.
Uomo d’officina, è facile vederlo passare nei reparti, parlare con i suoi uomini, cercare di capire se il lavoro è gestito con efficienza. Al suo arrivo, la prima preoccupazione è quella di censire tutto quello che non funziona: il “macchinario scadente”, la “pianta non armonica”, i “falsi movimenti di materiale”. Partendo da questa analisi Gobbato avvia la sua opera. La sua lezione di metodo è riassunta in due manuali pubblicati nel 1932 dal titolo “Organizzazione dei fattori della produzione”: Gobbato teorizza e attua una vera e propria sintesi tra le esigenze di un moderno sistema industriale e la tradizione di precisione artigianale che ha distinto l’azienda fino a quel momento. 
Una “razionalità produttiva non di serie”, così viene definita, che si concretizza nell’inserimento di una leva di giovani ingegneri. Con loro entrano in fabbrica nuove norme e regole moderne. Ne derivano una gerarchia più definita, mansioni precise e retribuzioni proporzionate. 

Una giovane promessa
Nell’ambito di questo enorme lavoro di revisione del Portello, in un’area adiacente viene anche allestito un campo di calcio, con tanto di pista di atletica e tribunetta.
Siamo nel 1938: la squadra del dopolavoro aziendale, il Gruppo Calcio Alfa Romeo, ha vinto la divisione regionale l’anno prima, e giocherà in serie C. Per l’occasione viene ingaggiato un giovane promettente calciatore, attirato dalla prospettiva di un'occupazione stabile come meccanico al Portello. È il futuro capitano della Nazionale e del Grande Torino Valentino Mazzola.
Chissà se il grande Valentino prestò mai la sua opera di meccanico su una 6C 2500? L’unica certezza è la presenza del giovane al Portello quando nel 1939 viene prodotta la prima vettura della nuova serie. 

La 6C 2500
Diretta evoluzione delle 6C 2300 e 2300 B che l’hanno preceduta, la 6C 2500 eredita alcune importanti novità tecniche, come le sospensioni posteriori a barre di torsione con ammortizzatori telescopici, e i freni non più meccanici ma idraulici. 
Le prestazioni diventano più brillanti: i livelli di potenza salgono fino ai 110 cavalli della Super Sport, capace di 170 chilometri orari. L’auto debutta nelle corse vincendo la Tobruk-Tripoli del 1939 con una carrozzeria “ad ala spessa”, che integra i paraurti nella scocca.
Ancora una volta l’unicità tecnica del modello e i successi sportivi diventano la chiave per rivolgersi alla clientela di élite. La produzione si avvia con le versioni Turismo da cinque o sette posti, Sport e Super Sport con passo corto, da affidare ai carrozzieri esterni. Nonostante il prezzo (che va dalle 62 alle 96 mila lire), l’accoglienza da parte del mercato è più che positiva. È soprattutto un grande successo di fatturato: le 159 unità vendute valgono quanto 1.200 Fiat 508 Balilla.

Il ritorno della 6C
Dopo la Seconda Guerra Mondiale occorre riconvertire gli stabilimenti dalla produzione bellica alla produzione civile. Il Portello ha subito i bombardamenti del 1943 e 1944, e ha pagato un duro prezzo. Ricominciare a fare auto non è semplice, ed è giocoforza ripartire dall’ultimo modello della casa, quella 6C 2500 di cui si è riusciti a salvare alcuni stock di parti meccaniche. 
Nel 1945 vengono assemblati solo pochissimi esemplari della 6C 2500 Sport. Tecnici e operai le guardano come si guarda un sogno. Fuori dal Portello, Milano e tante città italiane sono ancora semidistrutte, e l’economia è in ginocchio: perfino le aziende devono ricorrere al mercato nero per procurarsi i materiali e i combustibili necessari al funzionamento degli impianti.

La 6C 2500 Cabriolet Speciale Pinin Farina
Nel 1946 la produzione è già salita a 146 unità, tra vetture e chassis consegnati ai carrozzieri. Uno di questi ultimi viene allestito in versione cabriolet, e portato al Salone dell’Auto di Parigi. L’Italia, Paese sconfitto, è esclusa dalla manifestazione – e allora l’intraprendente carrozziere decide di piazzare le sue vetture di fronte all’ingresso del Gran Palais, per poi spostarle a sera a Place de l’Opéra. Questo è sufficiente a sancire il successo del modello e del suo creatore, Battista “Pinin” Farina. 
Al Portello, sempre nel 1946, nasce su telaio Sport l’originale Freccia d’Oro, con una coda arrotondata che interpreta gli ultimi sviluppi in tema di aerodinamica. A partire da questo modello nascono realizzazioni di grande rilievo. Pinin Farina firma un’elegante coupé, le cui linee fanno scuola, e una berlinetta premiata al Concorso di Cernobbio. Il motonauta Achille Castoldi compra un coupè Touring e ripete al Salone di Ginevra quanto fatto da Farina a Parigi. 

L’auto del “bel mondo”

Tyrone Power gira per Roma con la sua Alfa Romeo 6C 2500, Juan Peron e la moglie Evita la vogliono per sfilare a Milano. L’acquistano personaggi come Re Farouk d’Egitto e Ranieri III di Monaco. Quando il 27 maggio del 1949 Rita Hayworth raggiunge il Principe Ali Khan al municipio di Cannes per convolare a nozze, lo fa a bordo della 6C 2500 cabriolet Pinin Farina che ha appena ricevuto come regalo di matrimonio. Il modello ha un’elegante carrozzeria grigia, con capote e interni blu perfettamente intonati all’abito della sposa. 
Inizialmente il matrimonio era previsto ai primi del mese; ma la data delle nozze viene spostata a causa della tragedia di Superga, per espressa volontà del Principe – torinese di nascita, e grande tifoso di calcio. Si chiude un cerchio apertosi nel 1939 con la nascita della prima 6C 2500, quando al Portello si allenava il giovane e ancora sconosciuto Valentino Mazzola.

La 6C 2500 SS Coupé Villa d’Este
Siamo arrivati alla Villa d’Este, forse la sintesi di tutto ciò che di bello è stato fatto finora con l’auto e sull’auto. La 6C 2500 SS “Villa d'Este” è uno degli ultimi modelli Alfa Romeo a essere realizzato con telaio portante separato dalla carrozzeria. Viene prodotta in soli 36 esemplari, uno diverso dall’altro, a seconda dei desideri dei clienti e dell’estro dei carrozzieri. 
Partendo dalla 6C 2500 SS Coupé, realizzata dalla sua stessa Touring, Bianchi Anderloni introduce importanti modifiche: il frontale viene ridisegnato, i quattro fari vengono meglio integrati nella carrozzeria, compaiono due prese di raffreddamento allungate sovrapposte. I parafanghi sono integrati nella fiancata, ma ben evidenti. Il parabrezza è sdoppiato e inclinato. Nel retro, molto basso e pronunciato, spiccano due piccoli, eleganti fanali rotondi. È nato un capolavoro dell’arte automobilistica del ventesimo secolo. 
Nell'edizione 1949 del Concorso d’Eleganza di Villa d’Este la vettura si aggiudica il “Gran Premio Referendum”, il premio attribuito dal pubblico – e fa suo per sempre il nome dell’evento che la consacra.

venerdì 1 maggio 2020

“Storie Alfa Romeo”, seconda puntata: l’iconica 6C 1750 anticipa il futuro ed è protagonista della sua epoca


È il 13 aprile 1930, sono passate da poco le cinque del mattino. La quiete del Lago di Garda è rotta dal rombo di una Alfa Romeo 6C 1750 Gran Sport spider Zagato che va a 150 chilometri orari a fari spenti. Al volante c’è Tazio Nuvolari da Mantova, detto “Nivola”. Al suo fianco c’è Gian Battista Guidotti, capo-collaudatore Alfa Romeo al Portello. La corsa è la mitica Mille Miglia. In testa c’è Achille Varzi. che sembra avviato alla vittoria. Ma pochi chilometri prima del lago, a Verona, Nuvolari e Guidotti hanno avuto un’idea folle: spegnere le luci. Per battere il rivale, l’unico modo è coglierlo di sorpresa. È quasi l’alba. Dopo il lago c’è la campagna che porta al traguardo di Brescia. È qui che Varzi e il secondo pilota Canavesi sentono l’eco di un altro motore. Neanche il tempo di capire che cosa stia succedendo, e un’automobile identica alla loro li sorpassa. 

Vince Nuvolari alla media di 100,45 km/h. È la prima volta in questa gara che viene infranto il muro dei 100 km/h di media – un record a cui la stampa dell’epoca dà grande risalto. L’incredulo Varzi arriva secondo, staccato di una decina di minuti. Terzo Giuseppe Campari. Quarto Pietro Ghersi. Piloti molto diversi, con una cosa in comune: guidano tutti e quattro la stessa vettura, la 6C 1750. E non sono gli unici. Altre 6C arriveranno, nell’ora e mezza seguente – per un totale di otto nei primi undici posti. 
Una supremazia assoluta, ribadita quello stesso anno con i primi tre classificati alla 24 Ore di Spa, in Belgio, e al Tourist Trophy di Belfast. La 6C 1750 è l’auto più veloce del suo tempo. 

La famiglia 6C 

La 6C è la prima creatura di Vittorio Jano, che dal 1926 ha preso in mano tutta la progettazione Alfa Romeo. Il mandato era creare una “vettura leggera con prestazioni brillanti” – capace di arrivare prima nelle corse, di farsi ammirare, ma anche di aprire nuovi mercati. 
La 6C unisce pulizia di struttura e raffinatezza meccanica – le qualità tipiche delle auto di Jano. Ma ha anche qualcosa in più, che diventerà una caratteristica distintiva Alfa Romeo: una elevata potenza specifica. Jano sa estrarre cavalli da motori piccoli, e questo lo porta a immaginare quello che noi oggi chiameremmo “downsizing”: crea propulsori che si collocano a metà tra la cilindrata da un litro, tipica delle utilitarie, e i due o tre litri delle auto di lusso. Già allora, le Alfa Romeo vanno più forte di tutti grazie al miglior rapporto peso/potenza. 

L’innovazione tecnologica 

A partire da questa intuizione progettuale, nascono modelli che faranno storia. 
Già per la GP 1914 (poi bloccata dalla guerra), Merosi aveva sviluppato soluzioni motoristiche inedite, che avrebbero caratterizzato la storia progettuale futura di Alfa Romeo: i due alberi a camme in testa, le quattro valvole per cilindro e la doppia accensione. Sulla 6C 1900 GT (e successivamente sulle 6C 2300 e 6C 2500) vengono introdotte altre novità: le sospensioni a ruote indipendenti, e un nuovo telaio con componenti saldati (anziché chiodati) per aumentare la rigidità. 
La maneggevolezza e la tenuta di strada delle Alfa Romeo diventano leggendarie: lo “handling” entra nel DNA del Brand. 

La 6C 1750 

La 6C 1750 presentata nel gennaio del 1929 al Salone dell’Automobile di Roma rappresenta forse la piena maturazione della formula 6C. Il motore è un’evoluzione del precedente 1500 sei cilindri in linea. Viene prodotto in versioni diverse – monoalbero e bialbero, con compressore volumetrico e senza – e la potenza va dai 46 cavalli della versione Turismo ai 102 cavalli della Gran Sport “Testa Fissa”. Quest’ultima è una “special version” prodotta in pochissimi esemplari: la testata è fusa in blocco col basamento cilindri per eliminare le guarnizioni (e il rischio di bruciarle), il peso è di soli 840 kg e la velocità massima di 170 km/h. 

Ma non è solo il propulsore a fare della 6C 1750 il punto più alto dell’innovazione in campo automobilistico. Il sistema frenante è di tipo meccanico, con tamburi di grandi dimensioni comandati da un sistema di rinvii. Il telaio, in acciaio stampato, è perfettamente equilibrato ed estremamente rigido, con assali rinforzati. Le balestre sono montate non sotto ai longheroni, ma all'esterno del corpo vettura: il baricentro più basso esalta la tenuta in curva. Il serbatoio del carburante è stato arretrato per ottenere un maggior carico sulle ruote posteriori e migliorare il bilanciamento tra gli assi. Tutte soluzioni all’avanguardia, che – in linea con la filosofia della Casa – sono applicate sulle vetture da corsa come sulle auto stradali. 

Le vittorie nelle gare diventano una cassa di risonanza per la supremazia tecnica del modello. Sin dall’esordio, la 6C 1750 ha un notevole successo commerciale. Dal 1929 al 1933 escono dal Portello ben 2.579 esemplari, venduti sul mercato domestico ma anche all’estero – soprattutto in Regno Unito e nel Commonwealth. Numero significativo, considerando che si tratta di un’auto decisamente “di élite”. In Italia, il prezzo di vendita andava dalle 40 alle 60 mila lire: circa sette anni di uno stipendio medio. 

L’era dei carrozzieri 

La 6C non è solo veloce, è anche molto bella. E molta parte del suo successo si deve ai carrozzieri che la “vestono”: maestri artigiani capaci di unire il mestiere di sellaio, di battilastra, di verniciatore e di tappezziere – ma soprattutto creativi e stilisti capaci di lasciare un segno nella loro epoca. 
Fino agli anni trenta, era normale che dagli stabilimenti produttivi uscissero telai nudi, attrezzati con motore, cambio e sospensioni. Il cliente acquistava l’auto, poi si rivolgeva all’allestitore per farsi creare un modello su misura – praticamente unico al mondo. Solo nel 1933 al Portello viene aperto un reparto di carrozzeria interno, che affianca (ma non sostituisce) la produzione di chassis meccanizzati venduti direttamente a clienti e carrozzieri. 
La 6C 1750 dimostra grande duttilità di allestimento. Intorno all’eccezionale meccanica Alfa Romeo vengono sviluppate alcune delle auto più eleganti di sempre – carrozzate dagli stilisti più illustri, e comprate dai personaggi più famosi. 

La 6C 1750 GS Touring “Flying Star” 

La “Flying Star” nasce per essere bella quanto la sua proprietaria: Josette Pozzo, milionaria, modella e protagonista degli eventi mondani dell’epoca. Creata appositamente per partecipare al Concorso d'Eleganza di Villa d'Este del 1931, fu sviluppata dalla Carrozzeria Touring di Felice Bianchi Anderloni. 
La 6C 1750 spider è un “pezzo unico”: un vero gioiello di originalità, eleganza e cura del dettaglio. È tutta bianca, compresi sottoscocca, raggi ruote, volante, e selleria – con la sola eccezione del cruscotto nero a contrasto. 
Con questo modello, Touring dà alla 1750 nuove proporzioni e inserisce una serie di dettagli estetici che le danno un fascino “liberty” – come i predellini anteriore e posteriore sospesi, che nascono dai passaruote per incrociarsi sotto le porte senza toccarsi. 
A Villa d’Este la 6C 1750 GS Touring vince la “Coppa d’Oro” assegnata all’auto più bella – e alla premiazione Josette guida personalmente la vettura, sfoggiando un abito bianco perfettamente coordinato. 

Credits: FCA Heritage

martedì 21 aprile 2020

“Storie Alfa Romeo” la nuova collana web che Alfa Romeo regala a tutti gli appassionati

Le belle storie emozionano e confortano, e soprattutto nei momenti più complicati rappresentano un corroborante momento di evasione. Una storia ben raccontata è come un’automobile ben fatta, capace di avvolgere e di appassionare: consente di andare lontano, almeno con la fantasia, e di godersi il panorama che sfila dal finestrino. Soprattutto in questo frangente di giorni difficili c’è un diffuso desiderio di storie, e Alfa Romeo ne ha tante da raccontare.

“Storie Alfa Romeo”: un piano editoriale che celebra 110 anni di storia

Il 24 giugno 2020, infatti, il Marchio taglierà un nuovo prestigioso traguardo: il Biscione festeggerà 110 anni contraddistinti da innovazioni tecnologiche, successi sportivi e memorabili creazioni su quattro ruote, e per festeggiare un compleanno così importante ha sviluppato “Storie Alfa Romeo”, una collana web dedicata a tutti gli appassionati di automobili. Del resto, non si può pensare alla storia dell’automobilismo mondiale senza evocare Alfa Romeo: il Biscione è davvero nel cuore non solo degli Alfisti, ma di tutti gli amanti del bello. La storia di Alfa Romeo si intreccia infatti con il meglio della genialità italiana, ne racchiude il carattere, oltre al noto patrimonio tecnico e artistico, e tocca ambiti che esulano dal mondo dell’automobile.

La passione al centro: Alfa Romeo racconta Alfa Romeo

“Storie Alfa Romeo” racconterà curiosità, costume, fatti correlati allo sviluppo del Marchio, e a quello storico e sociale d’Italia, attraverso i suoi modelli più famosi, accompagnati da foto d’archivio e dalle immagini delle vetture ospitate dal Museo Storico Alfa Romeo di Arese.
Come ogni creazione firmata dal Biscione, anche “Storie Alfa Romeo” mette al centro chi siede al volante, ma non solo. Di puntata in puntata, le “Storie Alfa Romeo” permetteranno di incontrare piloti e divi, tecnici e stilisti, celebrità e semplici appassionati: i protagonisti della leggenda Alfa Romeo.

Da via Cappuccio a una dimensione globale

Con “Storie Alfa Romeo” sarà dunque possibile andare alla scoperta delle radici di Alfa Romeo, e dell’intreccio di legami con Londra, Bordeaux e Napoli che hanno dato al Marchio una dimensione internazionale sin dalle origini. Per iniziare si parlerà della prima vettura prodotta, la 24 HP progettata da Giuseppe Merosi nella sua casa milanese di via Cappuccio ancor prima che il 24 giugno 1910 venisse registrata a Milano la ragione sociale A.L.F.A. (Anonima Lombarda Fabbrica Automobili). E naturalmente non mancherà l’occasione per rivivere le origini del mito sportivo Alfa Romeo: dal debutto nelle corse nel 1911 alla prima vittoria nella Targa Florio, atto di nascita del leggendario Quadrifoglio.