Se
è vero che, come si suol dire, noi siamo la nostra storia, nel caso di
Supersprint è tanta roba! Innanzitutto, perché parliamo di una storia lunga
quasi settant’anni, durante i quali l’azienda mantovana ha realizzato impianti
di scarico speciali per una infinità di modelli: dalle piccole Giannini 500
alle sportive di maggiore successo, stradali e da corsa. Spesso lavorando a
fianco dei reparti corse delle Case e maturando un know-how ai massimi livelli
che oggi, così come durante tutto questo lungo cammino, può mettere in campo
per lo sviluppo di nuovi progetti.
Ma sempre restando fedele al metodo di lavoro artigianale, “confezionando” impianti di scarico come fossero abiti di alta sartoria. E mantenendo viva questa storia, grazie alla conservazione delle dime sviluppate per la realizzazione degli impianti di scarico, tanto da disporre di un catalogo che conta circa 90.000 applicazioni che spaziano dalle classiche, con il valore aggiunto delle certificazioni storiche degli impianti, alle youngtimer fino alle sportive di ultima generazione.
Impianti di scarico apprezzati in tutto il mondo, tanto che fino a qualche anno fa il 90% del mercato Supersprint era concentrato all’estero, soprattutto negli USA. Ora la voce esportazioni fa sempre la parte del leone, ma con percentuali che sono variate, soprattutto nel nostro Paese. Grazie all’operato congiunto con l’esclusivista per il mercato nazionale RPM Racing Parts di Lainate (MI), che ha svolto una notevole mole di lavoro sul campo, mettendo a frutto la propria rete di contatti presso gli operatori di settore. Una collaborazione partita una decina di anni fa e, che confortata dai numeri positivi, si è fatta via via sempre più stretta, soprattutto negli ultimi anni con la presenza diretta dell’azienda ad importanti fiere di settore.
“Stiamo puntando molto sulle auto d’epoca – spiega Francesco Dell’Orto, Sales Manager RPM -. Ci sono molte richieste per quanto riguarda automobili degli anni ‘70 e ‘80, questo significa che le presenze alle fiere di settore di Padova, Milano e Torino, stanno dando buoni frutti. Ed è importante che a queste fiere ci sia stata la presenza diretta dell’azienda, con un’ampia esposizione dei prodotti. Perché questo ha dato modo di far comprendere ad appassionati e addetti ai lavori il livello qualitativo del prodotto, perciò che dietro un costo magari importante c’è un lavoro altrettanto importante, di ricerca e sviluppo, di cura nella lavorazione e di test. Altro fattore determinante è quello di avere prodotti con certificazione storica. Una sensibilizzazione importante perché abbiamo notato che spesso chi acquista un prodotto per la propria auto classica poi, evidentemente soddisfatto, acquista una linea di scarico anche per la sportiva di ultima generazione, per la quale oltre al sound coinvolgente vuole anche una maggiore prontezza nella risposta, sempre più condizionata dalle limitazioni applicate dalle Case”.
Ripercorrendo, in breve, la storia di Supersprint, possiamo comprendere perché il mercato si sia sviluppato prevalentemente all’estero ma, soprattutto, le scelte che hanno mantenuto intatta negli anni la filosofia dell’azienda.
Nel 1955, completata l’acquisizione di un’azienda di Verona che produce marmitte speciali, Giuseppe Gilli la rinomina Supersprint: “una bella intuizione, perché è un nome che trasmette dinamismo, velocità, ed è attuale ancora oggi”, sottolinea Federico Gilli, che insieme al fratello Alessandro (che si occupa della parte tecnica) e al cugino Ennio è sul ponte di comando Supersprint. A fine anni ‘50 la produzione viene spostata nel mantovano, a pochi km dalla sede attuale.
All’inizio era una piccola officina:
c’era un solo saldatore che assemblava tutti i pezzi, compresi i terminali che
venivano dipinti di colore rosso, perché trasmettevano l’idea delle corse. In
quel periodo le vendite avvenivano per lo più in ambito locale, poi un amico
che frequentava la Germania per lavoro suggerì a Giuseppe Gilli che quello
poteva essere un mercato interessante. Detto fatto, l’imprenditore mantovano
cominciò a fare la spola nei fine settimana tra Italia e Germania, con un
furgone carico di marmitte da proporre a rivenditori di ricambi, i quali
all’epoca vendevano prodotti italiani della concorrenza. Convinti dalla qualità
del prodotto, si instaurò un buon rapporto con questi commercianti, tanto che
loro stessi suggerirono delle idee su come sviluppare i prodotti in funzione
delle richieste del mercato tedesco, che in breve divenne quello più
importante. Successivamente Giuseppe Gilli cominciò a trascorrere lunghi
periodi in California, per seguire anche altre attività, così si sviluppò molto
il mercato USA.
La
prima delle due scelte fondamentali per il futuro Supersprint ce la spiega
Federico Gilli: “A metà anni ‘80 mio padre ci lasciò la conduzione
dell’azienda, apprezzando il fatto che noi fossimo appassionati di motori. Si
fidava di noi ma, giustamente, diciamo che ci “teneva d’occhio” con
discrezione. Infatti, non mancava mai di partecipare alle riunioni in cui
dovevano essere prese scelte importanti, anche perché lui avendo fatto la
gavetta era molto oculato. Infatti non ebbe dubbi nel respingere l’offerta del
Gruppo Fiat che negli anni ‘90 ci propose di passare a produrre per loro grandi
volumi di prodotti, supportandoci anche per la dotazione delle attrezzature
necessarie, perché il passaggio a quel tipo di produzione, pur allettante
inizialmente a livello di numeri, non ci avrebbe più lasciato spazio per
seguire la nostra tradizionale clientela aftermarket, oltre a legarci
inevitabilmente alle logiche aziendali del Gruppo, così come alla scelta dei
materiali e metodo di lavorazione. Insomma, avremmo perso la nostra identità,
che tuttora è il valore aggiunto dei prodotti Supersprint”.
La
seconda ce la illustra Davide Branchini, responsabile di stabilimento:”abbiamo
deciso di puntare su automobili di un certo livello. Questo ci ha permesso di
verificare che grazie alla grande ricerca che portiamo avanti nello sviluppo di
nuovi apparati, passando magari anche 15 giorni su una macchina per realizzare
prototipi e provarli al banco, abbiamo ottenuto standard molto elevati nello
sviluppo di collettori e impianti di scarico, realizzando particolari anche per
i reparti corse di alcune Case”. Va infatti sottolineato che proprio al
fondamentale settore ricerca e sviluppo in Supersprint sono impegnate diverse
persone con varie competenze.
Sempre con Davide Branchini vediamo i passaggi del processo di progettazione, sviluppo e realizzazione di una linea di scarico speciale Supersprint.
“Dopo
avere elaborato lo studio del componente da realizzare, i dati vengono inseriti
nel computer collegato al tavolo cartesiano dove una struttura mobile può
“copiare” il layout del tubo da riprodurre. Dato che si tratta di un tavolo
cartesiano vengono letti i punti centrali di ogni direttrice, dati che servono
a fornire le coordinate cartesiane di ogni centro alla macchina curvatubi. Ma
siccome durante la curvatura l’acciaio inossidabile subisce una variazione dei
gradi di angolazione, diventa importante verificare con il tubo i dati reali in
modo tale da apportare le correzioni per compensare globalmente le variazioni
che si verificano durante le lavorazioni. Una fase in cui rimane determinante l’apporto
del tecnico. Questo ci permette di essere molto elastici nell’elaborazione dei
prototipi, anche perché i macchinari di ultima generazione sono dotati di
appositi simulatori. Per contro la tecnologia ha un po’ complicato le cose:
prima c’erano solo tre parametri sui quali agire: curvatura, tratto rettilineo
e rotazione, mentre ora ci sono molti più parametri con i quali fare i conti”.
Il successivo passaggio, fondamentale nella preparazione delle parti che poi andranno a comporre il dispositivo di scarico, riguarda il taglio dei tubi, con la misura e l’angolazione perfetta in funzione di quello che si dovrà poi realizzare, dall’apparato più semplice a quello più complesso.
“A
livello di prestazioni c’è una bella differenza tra il tipo di convergenza dei
collettori nel, o nei, tubi dell’impianto di scarico: da 2 in 1 fino a 5 in 1.
Ovviamente se parliamo di auto prestazionali o da competizioni la cosa migliore
è avere una convergenza di tipo sagomato, cioè con i tubi che si raccordano in
modo perfetto tra loro convergendo in modo guidato nel tubo singolo, in modo
tale da creare minore “attrito” possibile tra i vari flussi. Mentre per
automobili meno esasperate, o comunque quando diventa importante anche una
certa economia di costi, si può prendere in considerazione una raccordatura
“semplificata” con convogliatore esterno”.
“Ovviamente
ci sono differenze prestazionali tra le due soluzioni, ma nemmeno così
trascendentali come si potrebbe pensare, mentre la grande differenza c’è tra un
collettore in ghisa, materiale poroso che frena i flussi, e la soluzione in
tubi. Va in parte sfatata anche la teoria che vuole i collettori di scarico di
lunghezza esattamente uguale, mentre noi abbiamo visto che anche nel caso in
cui non siano perfettamente uguali come lunghezza ma hanno un layout
differente, studiato ad hoc, avviene una sorta di compensazione. D’altronde in
alcuni casi si è costretti a sacrificare il layout ideale a causa degli spazi
disponibili, oppure per la presenza di accessori; perciò, è necessario studiare
la giusta compensazione. Abbiamo messo a punto questa tecnica lavorando per
anni con i tecnici dei reparti corse di alcune Case. Naturalmente in quel caso
l’obbiettivo è la massima prestazione, mentre quando si realizza uno scarico
per la produzione vanno tenuti presenti anche i costi necessari per la
realizzazione”.
Nella realizzazione di uno scarico con caratteristiche sportive va ottimizzato ogni aspetto: dal layout visibile esternamente a quello interno ai silenziatori, fino al sound.
“Noi disegniamo il layout interno ai silenziatori in modo tale che sia il più diretto possibile, così come spesso studiamo apposite flange. Ad esempio abbiamo realizzato uno speciale collettore per la M5 su cui abbiamo messo il brevetto: dato che in funzione del calore va tenuto presente un certo allungamento dei vari tubi, abbiamo studiato una flangia con una speciale guarnizione in grafite che garantisce la tenuta e molle di fissaggio esterne”.
“Un
altro degli aspetti sui quali concentriamo la nostra attenzione riguarda il
sound, che deve essere accattivante e, oserei dire, il più “musicale”
possibile. Il sistema di assorbimento del rumore è di tipo tradizionale, con
una sorta di tessuto inox che avvolge il tubo, a spirale in modo tale da
garantire tenuta, facendo da barriera alla lana di roccia che riempie il
silenziatore così da evitare che questa venga “aspirata” dalla depressione
creata dal passaggio veloce del flusso e quindi fuoriesca. Però, pur svolgendo
il ruolo di barriera fisica, la lana inox lascia passare le onde sonore
consentendo di creare il sound voluto. A tale scopo, nel caso delle Porsche
abbiamo realizzato la famosa “X pipe” che collega le due bancate così da
mantenere il caratteristico sound”.
“A partire dagli anni 2000 abbiamo convertito tutta la nostra produzione con un materiale che noi consideriamo ottimale: acciaio inossidabile AISI 304, che non da’ vantaggi a livello prestazionale, ma è certamente bello da vedere e, soprattutto, garantisce durata”.
Un altro passaggio fondamentale è, naturalmente, quello della saldatura tra i vari elementi. Lavorazione che in Supersprint viene ancora eseguita manualmente, perciò va sottolineato che c’è un’autentica “caccia all’uomo” per trovare personale specializzato.
“Una
volta terminata la realizzazione del prototipo del collettore o silenziatore, e
deliberato, questo viene passato alla produzione. Che nel nostro caso,
normalmente, significa piccole serie. Il lavoro del cosiddetto “marmittaio” può
apparire semplice: si tratta di piegare tubi o lamiere, realizzare i fondelli
tramite imbutitura e saldarli insieme, ma tra i diversi modi di lavorare posso
garantire che c’è di mezzo un mondo. Perciò, oltre alla qualità del materiale,
è importante per noi poter contare su persone che abbiano assimilato negli anni
la nostra metodologia di lavoro. Poi vengono comunque eseguiti controlli
“distruttivi” a campione. Per quanto riguarda la tecnica di saldatura, si è
passati dalla classica saldatura a cannello degli anni ‘60 a quella a Mig, la
classica torcia, fino all’utilizzo del TIG per determinati prodotti come i
downpipe oppure impianti per vetture di un certo livello, dato che questo tipo
di saldatura offre un risultato estetico migliore”.
passaggi finali, prima della sistemazione in magazzino oppure dell’imballaggio per la spedizione, sono il lavaggio finale e la marchiatura.
“Dopo l’apposito lavaggio sgrassante effettuato in reparto per rimuovere i residui di lavorazione, i vari particolari finiti vengono sottoposti al lavaggio finale, effettuato con soluzione alcalina non aggressiva e successivo passaggio con acqua senza calcare in modo tale che le eventuali gocce residue asciugandosi non lascino macchie. Un trattamento che dona brillantezza al prodotto finito. Il tocco finale definitivo è la bordatura e marchiatura laser del terminale”. Un tocco decisamente elegante e, soprattutto, una certificazione indelebile.
Credits: RPM Racing Parts Milano