di Massimo Campi
foto Raul Zacchè - Actualfoto
Bruce Leslie McLaren nasce il 30 agosto del 1937, ed il padre Les ben presto capisce che qualcosa nel suo amato figlio non va: ha la malattia di Perthes nella forma più grave. Il piccolo Bruce passa la sua infanzia rimanendo tre anni in terapia muovendosi con l’ausilio delle stampelle. Alla fine si deve rassegnare ad avere una gamba più corta dell’altra per sempre, ed a non potere giocare al suo sport preferito, il rugby.
Quegli anni di sofferenza, di disagio fisico forgiano il carattere del tenace Bruce. Scatta la voglia di farcela, di arrivare ugualmente, non nel gruppo, non con gli altri, ma davanti, per primo. Camminava con le stampelle e i muscoli delle braccia divennero tesi, arrotondati, potenti, quando le gettò nella spazzatura, si fece fare delle speciali scarpe ortopediche che pareggiavano la lunghezza della gamba malata con quella sana per nascondere il suo camminare da zoppo.
Oggi, parlare di McLaren significa una squadra, forte, quella che ha conquistato i mondiali con piloti del calibro di Fittipaldi, Hunt, Prost, Senna, Hakkinen, ma all’inizio di questa avventura c’è la storia di un uomo, venuto da lontano, dai confini del mondo della Nuova Zelanda, che ha dovuto lottare fin da piccolo contro le avversità della vita, ed è morto, il 2 giugno del 1970 mentre stava collaudando una sua creatura sul tracciato di Goodwood.
L’adolescenza la passa nella stazione di servizio, a Remuera nei sobborghi di Auckland, del padre che ben presto si accorse della cocciutaggine e della voglia di emergere del piccolo Bruce. Les aveva gareggiato in moto, amava le corse, la meccanica, e tra le macchine aveva in officina una Austin 7 che giudicava troppo potente e pensava di venderla, ma Bruce, che aveva solo 14 anni e già guidava la macchina si oppose, a lui la “7” piaceva, era la sua vettura ideale, tanto che una domenica mattina, a soli 15 anni, appena ottenuta la patente, la prese “per fare un giro” ed andò ad iscriversi ad una gara in salita. Quando rientrò nel pomeriggio aveva sul sedile del passeggero una coppa: prima gara e prima vittoria, tanto per fare capire chi era Bruce McLaren!
Dopo la prima vittoria ne seguono altre, il binomio McLaren-Austin è spesso primo nelle gare in salita della Nuova Zelanda, ed intanto Bruce studia, ovviamente meccanica, ed impara a preparare la sua macchina per migliorare le prestazioni. Avena 19 anni e non aveva ormai dubbi sul suo futuro: diventare pilota professionista. Nel 1956 McLaren compì il salto di qualità: acquistò una Cooper-Climax di F.2 usata, appartenuta a Jack Brabham e trascorse tutto l’inverno a inviare lettere a colui che sarebbe diventato 3 volte iridato per avere delucidazioni sulla preparazione della sua ex monoposto. L’orso australiano rimase stupito da quella curiosità, si segnò il nome del quel ragazzino e nel ’57 seguì le evoluzioni di Bruce in pista, capendo che dietro la curiosità esisteva il talento.
Quando nell’inverno Brabham giunse in Nuova Zelanda per il Gp, inserito nella Coppa Tasmania, portò con sé una Cooper in più da destinare a Bruce. E McLaren non lo deluse: si aggiudicò il concorso “A Driver for Europe”, la borsa di studio per il miglior talento neozelandese: per Bruce il 1958 sarebbe stato scandito da una Cooper F.2 ufficiale e dalla residenza in Inghilterra sotto l’ala protettrice di Jack Brabham. Il giovane Bruce impara in fretta, è veloce, ha talento ed arriva il grande giorno, il 3 agosto del 1958. quando la sua piccola F.2 viene schierata al via del GP di Germania, dietro le più potenti monoposto di F.1. Nordschleife, tracciato tosto, per piloti veri, su 26 qualificati Bruce McLaren si classifica 15° e 1° tra le monoposto della categoria cadetta. In gara dietro a Brooks, Salvadori, Trintignant e von Trips, al 5° posto, c’è lui, vincitore di categoria. A fine anno arriva 12° assoluto e 2° tra le F.2 al Gp del Marocco, quello dell’affermazione nel mondiale costruttori della Vanwall e della morte di Lewis-Evans.
Il volante in F.1, con una Cooper è suo per la stagione 1959. A Montecarlo arriva 5°. Ripete il risultato in Francia. Ad Aintree diventa il più giovane pilota nella storia a salire sul podio, conquistando il 3° posto. E dopo i ritiri in Germania, Portogallo e in Italia, Bruce entra nelle statistiche di ogni tempo: il 12 dicembre a Sebring vince il Gp degli Usa. Ha appena compiuto 22 anni, è il più giovane ad avere colto il successo in F.1. Il suo record resisterà per molti anni, mentre Jack Brabham vince il suo primo titolo mondiale. In pochi, tra i giovani del mondiale, posseggono il talento scientifico di Bruce, la sua visione tattica, la sua precisione nel mettere a punto la vettura. McLaren vince il primo Gp del 1960 a Buenos Aires. Poi fa da scudiero a Brabham ed è 2° nel mondiale, andando a podio in tutte le corse alle quali partecipa, tranne che a Zandvoort. Brabham decide di diventare costruttore, alla Cooper c’è McLaren talento nato che continua a fare risultati importanti anche in periodi di vacche magre. Nel 1962 McLaren vince a Montecarlo, tiene su una baracca che sta cedendo sulla spinta della maggiore competitività di Brm e di Lotus. Bruce però continua ad occuparsi di meccanica, il suo faro rimane sempre “balck Jack” Brabham e Cooper non può fare altro che assecondare il desiderio del suo pilota, quando a fine 1963, gli chiede il permesso di fondare una propria scuderia, la Bruce McLaren Motor Racing Limited per schierare due Cooper nella Coppa Tasmania con motore Climax 2700.
I piloti sono McLaren stesso e un giovane americano di nome Timmy Mayer. Come team manager viene convinto il fratello di Timmy, Edward Mayer detto Teddy. Il capo-meccanico è portato in dote dai Mayer: si chiama Tyler Alexander. Il team domina la serie ma Timmy Mayer muore durante le prove dell’ultima corsa.
Suo fratello Ted decide di restare a fianco di Bruce, così come Tyler Alexander. Nasce la McLaren. Pur continuando con la Cooper in F.1, Bruce si convince sempre più a diventare costruttore.
Da Roger Penske acquista la Zerex Special, un telaio ex Cooper F.1 modificato per ospitare due posti. La smonta e la ricostruisce secondo i propri concetti, la porta in corsa a Mosport in Canada vincendo, poi la presenta in Europa. Nel frattempo sta realizzando la prima vera McLaren della storia: la M1 che nasce nel Middlessex a Feltham. È una biposto a motore Oldsmobile. Il 26 settembre 1964 debutta a Mosport con una vittoria. Da questo momento Bruce McLaren si divide: è pilota professionista tra i più capaci e team manager. Corre ovunque nel 1965: per la Cooper in F.1, per la Ford con la GT40, nelle sport e con la sua vettura auto costruita. È l’ultimo anno con la Cooper, la squadra che lo ha tenuto a battesimo nelle corse europee e che lo ha fatto grande nel mondiale. Nel frattempo Bruce ha incontrato un giovane ingegnere molto promettente: si chiama Robin Herd, ha collaborato spesso con l’industria aeronautica, è esperto di materiali e aerodinamica ed è questo incontro che determina la decisione finale: lasciare la Cooper e imitare in tutto e per tutto Jack Brabham, diventando costruttore al 100%. C’è solo un problema: trovare un motore competitivo per la formula 3 litri che è andata a sostituire la gloriosa 1,5.
Bruce è pilota ufficiale della Ford, Teddy Mayer il suo abile stratega. La Ford concede il permesso di
sviluppare un propulsore derivato da un Ford 4700 di Formula Indy, ridotto a 3000cc che viene montato, nel 1965 sulla prima McLaren di F.1 la M2B. Ha un telaio disegnato da Herd e realizzato in Mallite, un laminato composito. L’idea è rivoluzionaria ma il motore è poco competitivo, ha solo 300 cv e spesso si rompe. Dopo appena un Gp, la McLaren accetta l’offerta della Serenissima del Conte Volpi che mette a disposizione del team un Ford V8 modificato dall’ingegner Massimino, ex Ferrari, e sviluppato dall’ex meccanico di Stirling Moss, Alf Francis. I cavalli sono ancora meno, appena 260, ma è ben più robusto, in teoria, dell’altro che nel frattempo giace al banco in fase di modifica. La collaborazione si rivela disastrosa e quando il Ford V8 originale torna in pista, la McLaren soffre sempre rispetto alla concorrenza. Bruce si consola vincendo la 24 Ore di Le Mans in coppia con Chris Amon sulla Ford GT40. Nel 1966 la McLaren monta un Brm: Bruce arriva 4° a Monaco, ma a tre giri e poi fa collezione di ritiri. Le sue vetture, in compenso, diventando le regine della Can Am con Bruce che vince il titolo del 1967. A fine anno Robin Herd abbandona il team per andare a lavorare al progetto della Cosworth 4 ruote motrici di F.1 dopo avere ultimato la M7A che monta il Cosworth DFV. Al posto del geniale Herd viene promosso il suo assistente, Gordon Coppuck. Denny Hulme dopo avere vinto il titolo mondiale abbandona la Brabham per passare nel team di Bruce. La coppia spopola, i due dominano la Can Am e soprattutto diventano presenze importanti in F.1.
La M7A è semplice, raffinata, adattabile, il Cosworth è il degno compagno di un telaio sul quale Herd ha corretto gli errori dei primi modelli, raggiungendo la quasi perfezione costruttiva. Dopo due ritiri in Spagna e a Monaco, Bruce realizza il suo sogno: il 9 giugno vince il Gp del Belgio. Tutto in poco più di 12 anni. La McLaren lotta anche per il titolo con Hulme, che vince a Monza e in Canada. La voglia di McLaren per la tecnica lo porta anche al successo in F.Indy.
Bruce McLaren è super impegnato, pilota, costruttore, team manager, capisce che ormai il dividersi nella doppia veste può procurare più danni che benefici. Il 1969 è un anno di transizione. Intanto il fido Teddy Mayer lo indirizza a occuparsi più degli aspetti gestionali, cerca di convincerlo ad ipotizzare il ritiro dalle corse, ma McLaren non molla, almeno nel 1970 decide di proseguire in F.1. Deve compiere 33 anni, gli piace guidare ma soprattutto ama collaudare e sviluppare le sue vetture. Inizia la stagione con un ritiro a Kyalami, arriva 2° al Jarama, poi abbandona aa Montecarlo con una sospensione rotta. È il suo ultimo Gp. Il 2 giugno si reca a Goodwood per collaudare l’amatissima M8D Can-Am che Hulme non può sviluppare perché a Indianapolis ha subito un bruttissimo incidente ed è momentaneamente fuori gioco. Si allaccia le cinture, mette in moto, prende la via della pista, che ormai da anni è fuori da qualsiasi giro di corse importanti e non rappresenta il massimo per la sicurezza. All’uscita di una curva, perde il retrotreno, la vettura caracolla, finisce contro una postazione in disuso dei commissari. Bruce muore sul colpo con quel volta da eterno ragazzo, mentre stava consolidando quel suo sogno, voluto con forza e la cocciutaggine di chi sa che deve lottare duro per ottenere dei risultati nella vita.