lunedì 18 aprile 2022

Il casco, l’elmo dei piloti


> di Massimo Campi
> foto di Raul Zacchè

In carbonio, multicolori, supertecnologici, il casco ha seguito la storia dell’automobilismo da corsa; oggi siamo abituati a riconoscere i piloti attraverso i disegno del loro casco, ma l’uso di questo strumento protettivo ha subito una evoluzione al pari passo delle auto e di tutto l’abbigliamento da corsa. Inizio secolo scorso, i piloti “cavalieri del rischio” erano abituati a sentire l’aria sul viso. I meno temerari iniziavano ad indossare delle cuffie di tela pesante derivati da quelli dei pionieri dell’aviazione e cuciti in modo da avere un sottogola che ne fermasse i lacci. Lo scopo principale era quello di proteggersi dalla pioggia e dal vento che iniziava a dare fastidio alla alte velocità. Per gli occhi, che dovevano essere anche loro protetti, si usavano degli occhiali derivati anche questi dai piloti di aerei, o semplicemente quelli utilizzati dai saldatori nell’industria meccanica ai quali venivano sostituite le lenti.

Uno dei primi ad utilizzare un vero casco fu Tazio Nuvolari: era di pelle rinforzata con la calotta imbottita e ben presto viene imitato da altri piloti. L’esigenza dell’immagine data dall’ingresso dei grandi costruttori di auto rende i piloti più professionali ed attenti anche ai vari particolari estetici.
Alla ripresa delle corse, dopo il periodo bellico, nulla è sostanzialmente cambiato dalla fine degli anni’30. Nino Farina, primo campione mondiale nel 1950, indossa ancora l’abbigliamento anteguerra e fino alla metà degli anni ’50 non si hanno particolari innovazioni. Le prestazioni però sono in aumento, le strade e le piste sono ancora piene di detriti e serve avere maggiore protezione per la testa. 

Si iniziano a vedere i primi caschi a scodella con la calotta metallica rigida, alcuni rivestiti di pelle con cinghie laterali per fissarli al mento mediante una fibbia, altri direttamente in metallo verniciato. Anche questi copricapi derivano da quelli usati dai piloti da caccia senza però i polmoni laterali tipici dei caschi da aviazione. Manuel Fangio, Stirling Moss, Peter Collins, Luigi Musso, Eugenio Castellotti, Alberto Ascari, sono i principali campioni che indossano i nuovi caschi ed alcuni di loro usano particolari colori, ad esempio Ascari che non si separa mai dal suo copricapo azzurro.

Alla fine degli anni ’50 si ha una successiva evoluzione. Nessun casco ha la calotta rivestita in pelle, ma tutti lo usano con la calotta verniciata. i fianchi si allungano fino a coprire le orecchie con protezioni rigide. Compaiono anche le prime visiere trasparenti simili a quelle dei cappelli con l’aletta, sono di plastica applicate a pressione. La Cooper rivoluziona la tecnica con le sue leggere monoposto a motore posteriore ed il loro pilota, Jack Brabham fu il primo a vincere il titolo nel 1959, utilizzando questo nuovo casco.

La prima grande rivoluzione nei caschi si ha negli anni ’60: nasce il casco Jet sempre di derivazione aereonautica utilizzato dai piloti dei caccia supersonici. È fabbricato con i nuovi materiali plastici uniti con la fibra di vetro. La principale produttrice è l’americana Bell che fa il suo ingresso in F1 con il suo Jet che copriva i lati e la nuca fabbricato in fibra di plastica con una visiera applicata mediante bottoni a pressione sulla parte superiore dell’apertura per il viso. Il marchio è spesso ben presente sopra la nuca, le immagini diffuse sono un ottimo veicolo pubblicitario per la ditta statunitense. Le calotte sono spesso verniciate con i colori richiesti dai piloti e la loro immagine si identifica sempre di più con i colori del casco. Jim Clark vince i due titoli mondiali con il suo Bell blu notte, John Surtees con quello bianco e striscia blu centrale. Graham Hill ha il suo casco blu scurissimo con i remi stilizzati del suo club nautico. Anche gli occhiali di protezione diventano del tipo a mascherina, come quelli utilizzati dagli sciatori con materiale isolante ai lati per non far passare l’aria all’interno, le lenti erano intercambiabili sia da sole che chiare, alcuni mettono un nastro adesivo sulla parte superiore della lente per ripararsi dal sole. La visierina superiore a volte viene integrata da un elemento trasparente che funge da parasole, ma sotto l’acqua alcuni montano una visiera di tipo trasparente in plexiglas che copre tutto il viso arrivando fino al mento.

Il tema della sicurezza inizia a farsi sempre più strada tra i giovani piloti, le coperture della F.1 sono sempre più larghe, ghiaietto e pezzi di gomma sono spesso sparati in faccia ai piloti. Nel 1968 inizia la grande rivoluzione che muterà profondamente l’immagine del pilota da corsa. Nel GP d’Italia a Monza, Dan Gurney indossa il primo prototipo di casco integrale realizzato sempre dalla Bell. Ha la visiera fissa, applicata alla calotta mediante bottoni a pressione ed ha inizio la grande svolta. Ben presto la Bell realizza la visiera mobile e mette a punto lo Star Helmet che diventerà il simbolo della F.1 moderna. Tutti i piloti ben presto lo adottano e lo personalizzano con varie decorazioni e colori. I più famosi sono quelli di Jackie Stewarth, bianco con il tartan scozzese, Jackie Ickx, blu notte contornato dalla striscia bianca, Clay Regazzoni con i colori bianchi e rossi della Svizzera, come quelli di Jo Siffert ma invertiti, il verde petrolio di Jochen Rindt o il melanzana di Jackie Oliver.

Per alcuni piloti il casco diventa un vero simbolo di riconoscimento con vari disegni, è il caso delle aquile stilizzate di Ignazio Giunti, l’arcobaleno multicolore di Francoise Cevert o quello di Emerson Fittipaldi. Sulla scia della Bell altri costruttori di caschi entrano nella scena internazionale. Negli anni ’80 spicca l’americana Simpson, con il modello Bandit, ispirato ai guerrieri del film “guerre stellari” di George Lucas.

Con la tecnologia cambiano anche i materiali di calotte e visiere. Le prime passano da materiali plastici alla fibra di carbonio per ridurre pesi ed aumentare la sicurezza. Anche le visiere cambiano, da semplice plexiglass piegato ora sono realizzate con resine speciali a prova di proiettile. 
Le colorazioni ormai sono vere e proprie opere d’arte e spesso cambiano da un gran premio all’altro per soddisfare le esigenze di immagine di piloti e sponsor.


Schumacher, Raikkonen, Jody Scheckter, sono tutti campioni Ferrari che hanno usato caschi integrali, ormai d’obbligo nella Formula 1 moderna. I caschi del sudafricano e del campione di Kerpen sono sempre stati molto riconoscibili, con una grafica sempre semplice e lineare. Anche quando Shumacher ha ripreso a correre con la Mercedes, ha conservato il colore rosso del suo casco, in memoria dei giorni di gloria passati al volante delle rosse di Maranello.