di MASSIMO CAMPI
Foto di Raul Zacchè - Actualfoto
Gli albi d’oro, le statistiche, se sfogliamo i libri, le riviste, sembra che siamo i dati a fare la storia delle corse consegnando ai posteri nomi di piloti che sono riusciti a vincere più di altri. Alcuni di questi hanno saputo conquistare anche il cuore della gente, ma ci sono altri piloti, i non campioni, gli sconfitti, che sono rimasti scolpiti come macigni nella memoria collettiva. Chi arriva secondo è il primo dei perdenti, è questa la legge dei numeri, ma non prende mai in considerazione le emozioni, quelle che hanno fatto amare le corse agli appassionati. Ci sono stati piloti campioni del mondo che sono riusciti anche in questa ardua impresa, ma molti di loro hanno scalato la testa delle classifiche badando solamente al risultato, mentre altri, solamente con la loro voglia di esserci, hanno saputo infiammare e conquistare il pubblico. La storia del motor sport è fatta anche di alcuni non campioni, ma che hanno saputo conquistare il cuore della gente e tra questi c’è sicuramente Clay Regazzoni.
“Viveur, danseur, calciatore, tennista e, a tempo perso, pilota. Il brillante, intramontabile Clay, ospite d’onore ideale per le più disparate manifestazioni alla moda, grande risorsa dei rotocalchi femminili. Lo contattai fin dal 1969, l’anno dopo vinse un memorabile Gran Premio d’Italia a Monza”. È questa la descrizione di Enzo Ferrari, nel ricordo di quel “memorabile” Gran premio d’Italia 1970 che consacra Clay Regazzoni come grande idolo delle folle. Lo svizzero debutta in quella stagione con la Formula Uno, subito con la Ferrari, ma alternandosi con l’altro giovane pilota Ignazio Giunti. È domenica 6 settembre 1970, Clay è alla sua quarta gara con la 312B, la macchina di Mauro Forghieri va forte, finalmente la rossa è risorta e Jacky Ickx è in lotta per il titolo mondiale. E’ un fine settimana particolare, Jochen Rindt nelle prove è volato via nell’urto contro il rail della sua Lotus 72 e Colin Chapman ha già fatto le valige verso casa con il suo team. È una bella giornata di settembre, sugli spalti oltre 150.000 spettatori, lo svizzero è alla sua quinta gara mondiale, ma è già protagonista fuori dall’abitacolo. Parla italiano, anzi è considerato italiano, non si nega al pubblico, ed in pista non ha timori reverenziali verso gli altri piloti. Ha 31 anni, è terzo nelle prove dietro al caposquadra Ickx ed alla BRM di Pedro Rodriguez, si cala nell’abitacolo della sua 312B n°4, indossa ancora il casco Jet, bianco e rosso, con gli occhialoni ed il sottocasco che gli nasconde il volto, dietro ha il campione del mondo Jackie Stewart con la March. Monza è una pista particolare, la più veloce, dove contano le scie e ci vuole esperienza e tanto “pelo”, oltre al piede pesante, per stare davanti. Ickx al 25° giro rompe la frizione, il pubblico sembra quasi sonnecchiare sotto il sole cocente, ma improvvisamente il lampo rosso si fa strada, e dopo sette giri la 312B è in testa con Clay inseguito come un’ombra da “sir” Jackie Stewart. Il duello è epico: staccate al limite, traiettorie incredibili, il V8 Cosworth ed il V12 Ferrari che sibilano sullo stradale con i contagiri che impazziscono, le monoposto in scia a pochi centimetri tra loro a folle velocità, uno spettacolo che solo il “tempio della velocità” sa offrire. La lotta tra i due facilita la rimonta di Jean Pierre Beltoise, l’urlo dei V12 Matra si confonde con gli altri due motori, al 55° giro sfrutta la scia dei due, staccata folle in Parabolica ed il francese è davanti. Tutti pensano che il ticinese non ce la possa fare contro i due molto più esperti, ma Clay impara presto, e con la stessa manovra del francese ritorna in testa, ma questa volta non lascia nulla agli avversari: viaggia a tutto gas a pochi centimetri dal muretto dei box rompendo l’effetto scia agli avversari. Guadagna pochi metri, quelli sufficienti a mantenere la testa. L’urlo del tifo sugli spalti sovrasta quello dei motori in pista, Clay guadagna sei secondi, taglia il traguardo, ma si deve subito fermare con il pubblico che sfonda i cancelli ed invade la pista. Ha vinto Gianclaudio Giuseppe “Clay” Regazzoni, che viene portato in trionfo fin sotto al podio.
In quella edizione del 1970, dopo tante stagioni di delusione, ha finalmente vinto la Ferrari ed il pubblico ha trovato il suo nuovo eroe, un mito che non finirà anche quando dovrà forzatamente smettere di correre in monoposto, ma continuerà a rimanere nel cuore dei suoi tanti tifosi.
Per Clay, dopo quella vittoria a Monza 1970, inizia la parte più importante della sua carriera. Va subito forte, impara in fretta, il ticinese, ed impara subito ad avere grande personalità fuori dall’abitacolo. Ha il baffo che conquista, con la sua spavalderia e la sua simpatia. Buca il grande teleschermo, è un personaggio dimostrando di avere tanta personalità oltre al piede di piombo. Ma la Ferrari nelle stagioni successive ritorna nel caos e il baffo ticinese emigra alla BRM di Stanley dove trova un ragazzo che sta maturando, un certo Niki Lauda che consiglierà al Drake quando fa nuovamente ritorno a Maranello nel 1974 al volante della nuova 312B3 progettata da Mauro Forghieri.
“Clay è tornato a casa” suona la frase nell’immaginario dei tifosi, ma oltre a Niki Lauda in Ferrari c’è anche il nuovo Direttore Sportivo Luca di Montezemolo, che diventa il maggior alleato dell’austriaco e Clay perde la sua grande occasione nel 1974, quando a Watkins Glen può ancora tentare la vittoria nel mondiale ma è colpito dalla sfortuna. È la prima stagione dell’era Lauda. La nuova 312B fila come un treno, Lauda va forte, sembra un computer, Clay Ragazzoni è considerato un veterano, ma anche lui è vincente con quella rossa realizzata dall’Ing. Forghieri. A due gare dalla fine la ruota della fortuna gira in modo contrario, Lauda ha un incidente con Mass e rimane tagliato matematicamente fuori dalla classifica mondiale. C’è da giocarsela nell’ultima gara a Watkins Glen, ma alla fine il mondiale finisce nelle mani di Emerson Fittipaldi con la McLaren. E’ ottobre 1974 e l’ing. Mauro Forghieri ricorda così quel fine stagione ed i fatti che hanno impedito a Clay di vincere il mondiale.
“Arrivammo all’ultima corsa, il GP degli Stati Uniti, il 6 ottobre a Watkins Glen. Lauda non poteva più vincere matematicamente il mondiale, rimaneva ancora in lizza Clay Ragazzoni. Nella corsa precedente, in Canada, vinse Emerson Fittipaldi con la McLaren e si rilanciò per il titolo mondiale. Io rientrai in Italia per seguire l’ufficio tecnico e gli aggiornamenti da eseguire, lasciando sul campo Luca di Montezemolo e l’Ing. Giacomo Caliri. Una settimana prima della gara ci furono dei test privati a Watkins Glen dove Ragazzoni ebbe un incidente in cui si fece parecchio male ad un tallone e distrusse la vettura. Con Bellentani che era il capo meccanico, ritirammo fuori una vecchia scocca e la spedimmo in America, io partii per seguire la gara, ma ebbi dei problemi, presi un aereo all’ultimo minuto che atterrava a Detroit. Arrivato, noleggio una vettura e parto in direzione New York, con oltre 1.000 km da percorrere, ma ad un terzo del viaggio mi imbatto in una bufera di neve, era ormai notte, la strada era impraticabile e trovai riparo in un motel gestito da indiani. Con il trascorrere delle ore la neve era alta oltre un metro e dovetti aspettare gli spazzaneve per ripartire a metà mattina seguendo lo spazzaneve per diverse miglia, ovviamente con una velocità lentissima ed infine riuscii ad arrivare sulla pista, dopo oltre un giorno di viaggio, il sabato pomeriggio a prove ormai terminate quando mi accorsi che la macchina di Clay aveva grossi problemi, ma era troppo tardi e non c’era più tempo per fare e provare le modifiche necessarie. Lauda era demotivato, sapeva che era tagliato fuori dalla lotta del mondiale e non era certo disposto ad aiutare il compagno di squadra, poi anche la sua macchina aveva dei problemi e viaggiò nelle retrovie. Vinse Reutemann con la Brabham, Ragazzoni arrivò undicesimo, il brasiliano quarto e per due punti vinse il mondiale. Poi Clay disse alla stampa che non era stato aiutato, ma c’erano grossi problemi alla macchina ed al suo piede infortunato, rimanendo vittima di una serie di quelle circostanze avverse.”
Per Clay Regazzoni Monza era una pista speciale e sale nuovamente sul gradino più alto del podio nel 1975 con Lauda che conquista il suo primo alloro mondiale. È il 7 settembre, sarà una nuova corsa storica per la Ferrari e per l’Autodromo di Monza. Una giornata da incorniciare per il Cavallino grazie alla vittoria del ticinese che consacra la magica stagione della 312T. La coppia Regazzoni-Lauda è di nuovo quella da battere nel mondiale, sempre con l’austriaco come prima guida ed il ticinese da valido scudiero, ma il rogo del Nurburgring cambia le carte in tavola, ed al Fuji, dopo l’abbandono da parte dell’austriaco la Ferrari non supporta adeguatamente Regazzoni che potrebbe metterci l’ultima pezza per contrastare gli inglesi e James Hunt che vince il Mondiale. La Fiat vuole Reutamann, pilota argentino, molto gradito dal marketing che vuole conquistare il Sudamerica. La carriera di Clay sembra ormai finita, Regazzoni è considerato un pilota vecchio stampo, ma con la passione per la velocità che trasuda dalla pelle. Clay ha quasi 40 anni, ma tiene ancora dietro tanti giovani piloti che hanno un paio di decenni in meno. Ensign e Shadow sono una nuova parentesi, team di secondo piano come i risultati: fra 1977 e ’78, 17esimo posto nel mondiale e un 16mo.
Poi arriva Frank Williams, che gli offre un posto a fianco di Alan Jones per guidare la FW07, dopo avere trovato i soldi in Arabia. La monoposto di Patrick Head va forte ed il tecnico noto per non essere mai stato tenero con i piloti ricorda così il ticinese “Clay era un vero gentleman, provava sempre con il massimo impegno e totale disponibilità anche nelle riunioni tecniche, al contrario di Alan che invece guidava dando il massimo ma poi voleva soltanto rilassarsi con qualche birra”
La prima vittoria mondiale per il futuro “sir” Williams è targata Clay Regazzoni e sarà anche l’ultimo guizzo del ticinese, ma è una illusione, per il 1980 nel sedile della macchina inglese ci sarà Carlos Reutamann, dopo avere abbandonato la Ferrari. Per Clay, 41 primavere sulle spalle, c’è solo un sedile nella Ensign e la fine dei sogni.
Domenica 30 marzo 1980, sui teleschermi in mondovisione viene trasmesso il Gran Premio USA West di Long Beach. Nelson Piquet, Riccardo Patrese ed Emerson Fittipaldi sono nelle posizioni alte di classifica ed alla fine sarà il brasiliano della Brabham a vincere la gara, mentre la rossa mondiale ’79 di Scheckter va sempre peggio. Ad un certo punto compare una piccola scritta in sovraimpressione “Regazzoni on fire”. Fumo, soccorsi che corrono in pista, ed alla fine si intuisce che il pilota è ancora intrappolato nell’abitacolo della monoposto. Il botto è avvenuto per un guasto all’impianto frenante, la monoposto senza potere rallentare si infila in uno spazio di fuga tra le barriere ad oltre 270 all’ora centrando la Brabham del ritirato Zunino, lasciata lì dai commissari. Clay si rompe la spina dorsale, non camminerà più nonostante diversi interventi e periodi lunghissimi di riabilitazione. Sembra la fine di quell’ex giovane bello, con quel sorriso a trentadue denti bianchissimi, sempre pronto a fare festa e possibilmente fra le donne più belle del pianeta.
Ma il fuoco che Clay ha dentro non smetterà mai di ardere, ed è a quel punto che inizia la sua seconda vita senza mai mollare. Ottiene la patente di guida per disabili, segue una licenza sportiva e la nuova avventura nei i rally raid. L’Africa è la nuova sfida di Regazzoni, con un macchinario tipo gru entra nella cabina di un camion da competizione si mette al volante e via a tutto gas tra le piste del Sahara, dune, rocce e greti di fiume. Arriverà finalmente a Dakar e sarà nuovamente Champagne a fiumi, poi altri raid e gare storiche come la Mille Miglia, dimostrando che quel fuoco per la velocità e la competizione non sarà mai spento fino a quel maledetto 15 dicembre 2006 quando tutti lo aspettano per un evento del Club Italia al Teatro Regio di Parma. Il fuoco della velocità invece lo ha fermato in autostrada. Per molti appassionati è la fine del simbolo di un’epoca quando i piloti, oltre ad essere velocissimi, erano personaggi amati. Clay, con quel suo casco bianco e rosso significava soprattutto Ferrari, un pilota genuinamente da corsa, uno degli ultimi interpreti di quel mix tra successo, charme, vita dorata, poco calcolo ma grande cuore.