di MASSIMO CAMPI
IMMAGINI © RAUL ZACCHE'/ACTUALFOTO e © MASSIMO CAMPI
Nebbia fitta a nord di Londra, in aria c’è un Piper Aztec, arriva dalla Francia, dal Paul Ricard dove l’equipaggio aveva partecipato ad una sessione di test con la monoposto di Formula Uno in vista della nuova stagione. Il Piper tenta l’atterraggio, la visibilità è praticamente nulla ma il pilota non vuole cambiare rotta verso un aeroporto con condizioni meno problematiche. Un attimo, il Piper si schianta a terra senza nessuna speranza per l’equipaggio. Cinque persone, cinque vite spezzate, alcune molto note nell’ambiente del motorsport. Alla guida di quel Piper c’è l’unico pilota che ha saputo conquistare il massimo alloro dell’automobilismo sportivo, la “Triple Crown”, quella tripla corona che molti, a distanza di quasi mezzo secolo, inseguono ancora. È il 29 novembre 1975, il pilota del Piper è Graham Hill, con lui ci sono il pilota Tony Brise il team manager della squadra Ray Brimble, i meccanici Tony Alcock e Terry Richards e il progettista Andy Smallman. Da quel momento la Embassy Racing with Graham Hill finisce di esistere.
Una tragedia, che scuote tutto il mondo delle quattro ruote, quel mondo amato da Graham Hill, l’unico che ha saputo vincere titoli mondiali in Formula Uno, ha conquistato la 500 Miglia di Indianapolis e la 24 Ore di Le Mans, oltre a cinque vittorie sul toboga monegasco.
Norman Graham Hill, anno di nascita 1929, anni di carriera nella massima formula ben 18, con due titoli mondiali in tasca, 172 Gran premi disputati, un record per l’epoca dove si correvano poche gare all’anno. Il palmares conta anche 36 podi, 13 pole position, 14 vittorie, 10 giri più veloci in gara. Questi sono i numeri, ma Graham Hill era molto di più, era un pilota che concedeva poco allo spettacolo, certamente non è mai stato identificato come un fuoriclasse, ma un pilota che badava al sodo, al risultato. Poi c’era l’uomo Graham Hill, fuori dall’abitacolo, un aspetto da gentleman inglese mischiato ad una grande dose di puro divertimento. In pratica un vero idolo per le folle come quando ha fatto l’ultimo giro della sua vita su una monoposto, la sua monoposto, il 19 luglio del 1975 a Silverstone, con il pubblico inglese tutto in piedi sugli spalti per salutarlo, per dare il saluto al suo baffo che ha saputo conquistare il cuore della gente, con un boato struggente.
Anno 1954, Graham Hill ama le due ruote, su una rivista nota una pubblicità dell'Universal Motor Racing Club a Brands Hatch, che offre la possibilità di girare in circuito per cinque scellini. Bella idea pensa, spende i cinque scellini ed entra nell’abitacolo di una Cooper 500 di Formula 3. Scatta la passione e da quel momento in poi saranno le corse su quattro ruote la ragione della sua vita. Ma le risorse a disposizione non bastano per le automobili, bisogna entrare in quel difficile mondo dal basso, ed entra nella giovane Lotus di Colin Chapman come meccanico, per poi passare presto dentro l’abitacolo come tester e pilota. Graham è veloce, ma soprattutto mostra subito di avere quelle doti di grande intelligenza e precisione di guida ed i grande giorno del debutto nella massima formula arriva al Gran Premio di Monaco 1958, dove si ritira per la rottura di un semiasse, ma capisce che quel toboga di strette strade in riva al mare diventerà uno dei suoi palcoscenici migliori. Due anni dopo, nel 1960, passa alla BRM e nel ‘62 arriva il primo mondiale, per poi ripetersi nel 1968, una stagione particolarmente difficile, dopo essere ritornato alla Lotus. Già il ‘68, stagione di grandi lutti per il team inglese dove scompaiono i suoi compagni di squadra: Jim Clark e Mike Spence.
Colin Chapman dopo quei drammi è in crisi, soprattutto la morte dell’asso scozzese lo ha colpito nel più profondo dell’anima. Graham Hill ha sviluppato la nuova Lotus 49, con il DFV Cosworth, sa bene la potenzialità di quella monoposto, sarà lui a condurre la squadra ed conquistare il titolo mondiale.
Intanto nel 1966 ha pure sbancato il mondo americano, vincendo sulle sopraelevate dell’Indiana al debutto. Al via una terrificante carambola, undici monoposto distrutte con la Lola del baffo che riesce a passare indenne ed inizia la sua corsa cercando di non commettere errore, fino a quando, tre ore dopo entra da vincitore sulla Victory Lane.
Poi arriva Le Mans, per il baffo sembra ormai finita la carriera, ma è ancora pronto ad un ultimo fuoco d’artificio. Sulla Sarthe aveva già corso nove volte, senza nessun accenno di gloria. E’ il 1972, la Matra vuole conquistare la maratona francese, ha tutti i migliori giovani transalpini in squadra ed ancora un posto libero da occupare. Le perplessità sono molte, Hill ha 43 anni, è considerato un pilota finito, la squadra francese lo mette in macchina con Henry Pescarolo. Parte la corsa, i giovani si sfogano le macchine iniziano ad avere problemi, la strana coppia, su cui nessuno scommette, mantiene il suo ritmo confidando sulla grande esperienza di entrambi ed allo scadere del secondo giro dell’orologio e la barchetta Matra MS 670 n°15 a passare per prima sotto la bandiera a scacchi.
È il tripudio per Graham Hill, un pilota che ha saputo dimostrare di andare molto forte, ma anche un uomo che sapeva divertirsi e fare divertire. Oltre ad essere il baffo più veloce al mondo, è campione di humour e di backgammon, capace di entrare nel cuore della famiglia Windsor, tanto che la Regina Elisabetta gli affida il figlio Carlo per una serie di corsi di guida. Hill è molto richiesto nei salotti bene, dove sfodera tutto il suo stile britannico con le dame di corte, ma è anche molto interessato alle varie comparse femminili di basso rango, pronte a tutte le avventure nel retro paddock.
Nel mondo attuale, dove i piloti faticano a dire qualche parola intelligente, sono proprio gli uomini come Graham Hill che mancano; piloti, ma soprattutto personaggi, rimasti come icone indelebili nel tempo!
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