Quando si guarda alla storia del marchio Citroën, cercando di identificare gli elementi che ne identifichino lo stile, non si può prescindere dal lavoro dell’italiano Flaminio Bertoni, entrato in Citroën nel 1932 e rimasto a capo del Centro Stile per oltre trent’anni, fino alla sua scomparsa.
Bertoni veniva da Masnago, vicino Varese, e aveva fatto esperienza alla Carrozzeria Macchi dove era entrato giovanissimo, come apprendista. Qui però non riuscì a trovare l’ambiente ideale per esprimere il suo irruente, quasi tempestoso modo di creare. Flaminio amava l’arte in tutte le sue forme, aveva una mente geniale da cui scaturivano idee a getto continuo: era pittore, scultore, disegnatore e progettista, era quello che potremmo definire il primo “car designer” della storia moderna ed era costantemente in contatto con il mondo dell’arte e dell’architettura.
Un giorno, si presentò al lavoro con un grande modello per la carrozzeria di un’automobile. Era bassa e aerodinamica, così avveniristica che i suoi colleghi della Macchi iniziarono a prenderlo in giro dicendogli che quella sagoma ricordava più un aereo che un’automobile! Sentitosi incompreso, il giorno stesso Bertoni tornò a casa e fece i bagagli con destinazione Parigi, la patria degli artisti!
Qualche mese dopo, si presentò nell’ufficio di André-Gustave Citroën, che aveva l’abitudine di scegliere personalmente i suoi collaboratori: “mi faccia vedere i suoi disegni”, deve avergli detto l’industriale francese, “Ma sono bellissimi! Sì! È quello che cerco! Lei è assunto al Centro Stile, anzi: lei è il Centro Stile! Si metta al lavoro al più presto, voglio migliorare tutte le mie automobili!”.
Fu così, che la matita di Bertoni iniziò a volare attorno ai disegni di una gamma Citroën, quella della fine degli anni ‘20, di ispirazione piuttosto americana, con carrozzerie imponenti e simili tra loro. Bertoni studiò il prodotto, chiedendosi dove intervenire per limitare al minimo l’impatto sulla produzione (avrebbe avuto modo di dimostrare più avanti il suo valore) e si limitò a rivedere la calandra, creando quel capolavoro di scudo, col grande Double Chevron in evidenza, che decorerà la produzione di Quai de Javel per quasi trent’anni.
La grande occasione per Flaminio Bertoni arrivò pochi anni dopo: nel 1933 fu convocato alla presenza di André Lefebvre, giovane ingegnere appena assunto (da André Citroën in persona, ovviamente): c’era da fare una vettura totalmente nuova, bassa e filante come quella del suo modellino! Era la Traction Avant, progettata, prodotta e presentata al mondo nel tempo record di meno di un anno, nel marzo-aprile del 1934. Lì dentro c’era una serie di astuzie e di idee nate in quell’ambiente artistico caro a Bertoni: c’era il suo senso della tridimensionalità, e lo si capiva guardando la Traction da ogni lato, si capiva che non era un’auto disegnata in 2D al tecnigrafo, ma una forma complessa, scolpita da Bertoni prima d’essere tradotta in disegni esecutivi.
C’erano i moderni concetti del design d’arredo, con sedili a metà tra le sedute di Jean Prouvé ed il Bauhaus (scuola cui Bertoni s’è più volte ispirato), c’era la simmetria della Voiture Maxim di Le Corbusier (accenni li ritroveremo sulla futura 2CV) e c’era un desiderio, profondo, di riprogettare gli oggetti partendo dalla loro funzionalità.
Bertoni lo sapeva: la forma è funzionale alla funzione, nella Traction, come nelle successive 2CV e DS, viene prima la necessità dell’uso rispetto alla bellezza di ogni componente, anche se quest’ultima è imprescindibile. In particolare per quanto riguarda i sedili. Il comfort è fatto di comodità, funzionalità ed appagamento dello sguardo. L’essenza dello stile Citroën.
Nel corso degli anni, Bertoni si circondò di collaboratori che apprezzavano la sua filosofia operativa: dall’inseparabile Henri Dargent sino a Robert Opron, cui affidò la sua successione alla guida del team. Un gruppo di lavoro formidabile che ha dato al mondo capolavori assoluti, di stile e funzionalità.
La 2CV fu per loro una sfida eccezionale. Bertoni fu inizialmente tenuto fuori dal progetto, la direzione voleva un’utilitaria nel senso pieno del termine e quando i lavori iniziarono, nel 1936, fu impartito chiaramente l’ordine di “lasciare fuori l’Italiano”, che del resto stava mettendosi al lavoro sull’erede della Traction: la futura DS.
La 2CV uscì dai tavoli di lavoro degli ingegneri, con qualche astuzia tipica però dell’Italiano, il che fa pensare che Bertoni, proprio fuori dai giochi non fosse…
I sedili, ad esempio, erano inizialmente dei tubi sospesi al padiglione su cui scorreva un tessuto simile ad un’amaca. Ma in quel periodo, l’esigenza principale era quella di ridurre i costi per abbassare il prezzo di vendita. Dopo la Seconda Guerra mondiale, dopo aver giudicato “inguardabile” il progetto degli ingegneri, la Direzione si decise a coinvolgere Flaminio Bertoni e così l’Italiano ridisegnò la piccola Citroën dandole quell’aria simpatica (e geniale) che tutti conosciamo e che ha certamente contribuito al suo successo. I sedili della 2CV furono ri-disegnati in un attimo: erano sempre i tubi (in stile Prouvé) ma ciascuno costituiva un elemento autonomo, autoportante, con il rivestimento sospeso su semplici elastici con una sottile imbottitura. All’occorrenza, potevano essere tolti dall’auto per fare un pic-nic o mettersi comodi a leggere il giornale su un prato.
Il lavoro di Bertoni sulla DS è ben sintetizzato dalla lettera che lo stilista scrisse a Giò Ponti nel 1957, dopo che l’anno precedente la Triennale aveva premiato la “sua” DS19 come opera d’arte industriale senza citare il nome dello stilista.
“È non meno vero che la DS19, nella sua carrozzeria, nella plancia di bordo, nei suoi dettagli, eccetto i sedili, è opera esclusiva del mio ingegno”. In effetti Flaminio Bertoni aveva disegnato tutto eccetto le celebri sedute della “Dea della strada”, che erano frutto di un altro studio, portato avanti con la Dunlop, sull’uso di spugna a densità differenziata e che spiega come dei sedili apparentemente comodi ma inadatti ad una automobile riescano a mantenere la promessa di comfort assoluto, trattenendo così bene i passeggeri in curva. Un perfezionamento che sulla DS durerà quindici anni, con continue variazioni sul tema, sino alle ultime poltrone adottate dal 1969, integralmente in spugna.
A metà degli anni ‘70, la CX seguì la DS nella dinastia delle grandi Citroën, i tempi erano cambiati e l’auto era molto diversa da quella che l’aveva preceduta. Come disse il semiologo Roland Barthes, se nella DS si respirava come in un ambiente domestico, con gli elementi stilistici che sembravano venire da una cucina moderna, tanto erano rassicuranti, salendo sulla CX l’atmosfera era decisamente più space-age, con sedili profilati ma mai rigidi, dove gli esperti di Citroën erano riusciti a dissimulare astuzie assolute, come ad esempio gli schienali dei sedili anteriori scavati nella parte posteriore che lasciavano quasi dieci centimetri di spazio in più alle ginocchia degli occupanti dei posti posteriori, piuttosto che l’uso della spugna di differente densità che qui veniva scomposta in elementi diversi per posizione e funzionalità, rappresentando un ulteriore passo verso l’obbiettivo di comfort e bellezza tipico di Citroën.
Alla CX seguirono le medie e grandi GS, BX e XM, ma anche le piccole VISA e le tante derivate della 2CV, come Dyane, Méhari e le AMI: tutti veicoli dove ogni dettaglio ha una sua precisa finalità, al contempo estetica e funzionale.
Forse uno tra i migliori omaggi alla genialità di Citroën lo si può vedere al Museo dell’Aria e dello Spazio, allestito all’aeroporto del Bourget, vicino a Parigi, dove è conservato un SA 321 Super Frelon. Si tratta di un grande elicottero tri-turbina, vanto della tecnologia francese degli anni ‘60 e ‘70, tutt’ora in esercizio sia in ruoli civili che militari. Dentro alla cabina di pilotaggio di quell’elicottero c’è un cockpit contenente ogni possibile strumento, metri quadri di numerosi indicatori e comandi per gestire tre potenti turbine che forniscono l’energia necessaria per alzare da terra parecchie tonnellate e per volare in qualsiasi condizione meteorologica. Volgendo lo sguardo verso destra si vede il portello d’accesso esterno della cabina dove c’è una maniglia d’apertura che deve innanzitutto assolvere alla sua funzione principale legata alla sicurezza, e dunque deve essere impossibile da aprire per errore, e inoltre deve poter sostenere il passeggero in caso di sollecitazioni aerodinamiche nel volo.
Quella maniglia, l’ha progettata proprio Flaminio Bertoni ed è esattamente la stessa maniglia della portiera dell’AMI6!
CREDITS: CITROËN MEDIA CENTER
Anno 1957, l'ultima Traction lascia la fabbrica Citroen