C’è stato un tempo in cui André Citroën provava al mondo la validità dei suoi veicoli con traversate di interi continenti: dai deserti Africani alle vette dell’Himalaya, sfide umane prima ancora che tecnologiche che ancor oggi impressionano chi ne legge i resoconti. Tra la fine degli anni ‘50 e l’inizio dei favolosi anni ‘60, l’arrivo di un’auto popolare ma capace di affrontare incredibili imprese come la Citroën 2CV, consentì a tutti di intraprendere viaggi straordinari attraverso terre selvagge, raid e persino giri del mondo. Ne è un esempio quello raccontato da Jacques Séguéla nel suo libro “La Terre en Rond”, preso come un autentico manuale pratico da migliaia di giovani che con la loro bicilindrica hanno raggiunto l’India o l’allora pacifico Medio Oriente.
Nei primi anni ‘70, Citroën organizzò raid di gruppo riservati alle sue vetture bicilindriche: prima la Parigi-Kabul, nel 1970, poi la Parigi-Persepoli, nel 1971 ed infine l’incredibile Raid Afrique del 1973, che portò la bellezza di sessanta 2CV da Abidjan a Tunisi su un percorso prevalentemente desertico di 8000km.
Ma queste iniziative non erano adatte a tutti. Per selezionare gli equipaggi che presero parte alla Parigi-Persepoli, ad esempio, furono vagliate 3800 domande di aspiranti viaggiatori: ovviamente, la maggior parte di loro restò esclusa dall’avventura, ma Citroën stava preparando qualcos’altro per tutti gli appassionati di motori, anche i meno facoltosi.
Ad Argenton sur Creuse, il 22 luglio 1972, venne disputata la prima gara di un nuovo campionato monomarca: il “Pop Cross”, riservato alle bicilindriche Citroën (principalmente 2CV, Dyane e Méhari) che si sfidavano in gare di velocità su piste in terra battuta, con vetture preparate secondo un preciso regolamento tecnico del costruttore. La 2CV usata costava poco, il kit di preparazione ancora di meno: era lo sport automobilistico alla portata di tutti.
La filiale italiana di Citroën accolse con entusiasmo la nuova specialità e già nell’anno seguente anche in Italia si correva il campionato italiano, denominato “2CV-Dyane Cross”, valido per il campionato europeo che nel frattempo era stato istituito con il nome internazionale di “2CV Cross”.
Le pagine di riviste specializzate si riempirono velocemente di foto che ritraevano le 2CV che decollavano dalla pista, carambolando per poi esser rimesse sulle loro ruote e ripartire. Il rischio per i piloti era veramente minimo: la morfologia delle piste, unita alla poca “cavalleria” disponibile determinavano una velocità di gara ridotta, la spettacolarità era garantita dalla scarsa (o nulla) differenza tra i veicoli in competizione, determinata da un regolamento molto rigido che non permetteva alcuna elaborazione, ma consentiva di usare le parti di serie di tutti i modelli Citroën anche combinate tra loro. Ed ecco che paradossalmente, giravano più veloci le 2CV con motore “4” (il 435cc) anziché le “6”. Veniva inoltre preferito un cambio a rapporti corti anziché uno lungo… o viceversa, perché i piloti ed i preparatori che si sono sfidati per un decennio sui circuiti sterrati di mezza Italia e che hanno ottenuto buoni risultati anche nel campionato europeo, oggi, quarant’anni dopo, i loro segreti non li rivelano ancora.
Credits: Citroën Communication