Visualizzazione post con etichetta Uomini e Macchine. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Uomini e Macchine. Mostra tutti i post

venerdì 14 marzo 2025

Castellotti, una vita di corsa


Debutto da dimenticare per Eugenio Castellotti nel mondo delle corse. E’ il 1° Aprile 1951, la corsa il Giro di Sicilia, l’auto la sua Ferrari 166 MM Barchetta, condivisa con l’amico Pino Rota. Non vedono la bandiera a scacchi, costretti al ritiro dopo alcune uscite di strada. Ma poco più che ventenne, il  pilota lodigiano pensa già alla seconda gara. Meno convinto il suo compagno di abitacolo che, però, alla fine di Aprile si lascia convincere e lo segue a Brescia per condividere la Ferrari 166 MM nella 1000 Miglia. Eugenio conclude al 50° posto assoluto, sesto di classe. Risultato di rilievo per un pilota alle prime esperienze agonistiche. Segno che gli assidui allenamenti serali sulla via Emilia tra Lodi e Milano non sono inutili. Coppa della Toscana, Coppa delle Dolomiti e Giro delle Calabrie, concluso al terzo posto di classe, sono le altre uscite della prima stagione di corse.
Castellotti è un giovane di talento. La conferma nel 1952 con i colori della Scuderia Guastalla di Luigi Chinetti e Franco Cornacchia. E il primo successo. Dopo la vittoria di classe al Giro di Sicilia, ecco quella assoluta alla Coppa d’Oro di Sicilia con la Ferrari 225 S. Al suo fianco c’è Annibale Broglia. Come alla 1000 Miglia che lo vede subito tra i protagonisti prima del ritiro per una uscita di strada quando è secondo assoluto. La stagione prosegue con altre due vittorie a Oporto, sempre con la 225 S, e a Senigallia con la 166 MM. L’esperienza alla Scuderia Guastalla è positiva per Eugenio che beneficia della presenza di piloti di fama internazionale del calibro di Alberto Ascari e Gigi Villoresi. 

La stagione 1953 inizia però con poca fortuna. Fuori al Giro di Sicilia, fuori alla 1000 Miglia, disputata con una Ferrari 340 Mexico Berlinetta Vignale. Con una 212 S riesce a salire sul gradino più alto del podio del Trofeo Sardo, ma i risultati migliori arrivano nelle corse in salita con le vittorie in due classiche come la Varese-Campo dei Fiori e Bolzano-Mendola. E’ campione italiano della montagna. 

Le prestazioni di Eugenio non passano inosservate. E’ estremamente veloce e sempre più affidabile ed arriva la chiamata della Lancia che gli mette a disposizione una D24 per le gare di durata. Ma alla 1000 km del Nurburgring, che dovrebbe correre con Giovanni Bracco, non riesce a prendere il via a causa di problemi elettrici. Un’altra corsa leggendaria, la Carrera Panamericana, lo vede al terzo posto finale alle spalle di Fangio e Taruffi, che però potevano disporre di auto più performanti. 

Castellotti diventa pilota Lancia nel 1954 e nella scuderia torinese trova Alberto Ascari, due volte iridato di Formula 1. Ancora due ritiri in apertura di stagione a Sebring – con Fangio su una D24 – e alla 1000 Miglia, sempre su D24. Le corse in salita portano un altro titolo tricolore e ben cinque vittorie assolute. 
Da dimenticare la prima corsa con la Lancia D50 di Formula 1, grande debuttante della stagione 1955. Al Gran Premio di Argentina, Castellotti è costretto dal caldo a lasciare la vettura a Villoresi che si ritira. Epilogo analogo alla 1000 Miglia con la Ferrari 121 LM dopo aver chiesto troppo alle gomme per difendere il primo posto da Moss e Jenkinson, che con la Mercedes conquistano vittoria e record della corsa. 

A Montecarlo, primo posto per Maurice Trintignant su Ferrari davanti a Castellotti. Con Alberto Ascari che conclude la sua ultima corsa in mare. Dopo pochi giorni, Ascari e Castellotti si incontrano all’Autodromo di Monza, dove il giovane lodigiano prova la Ferrari 750 Monza in vista del Gran Premio Supercortemaggiore. Ascari, ancora provato dall’esperienza di Montecarlo, chiede a Eugenio di fare qualche giro utilizzando il suo casco e i suoi guanti. La prova si conclude con un incidente mai chiarito in cui Ascari perde la vita. Un duro colpo per il mondo dell’automobilismo sportivo, oltre che per Castellotti. Gianni Lancia decide di ritirarsi e le monoposto di F1 passano a Enzo Ferrari. In Belgio, nel Gran Premio successivo, Eugenio partecipa in forma privata, anche se con i colori Lancia, e ottiene una brillante pole position ma in gara è costretto al ritiro a causa della rottura del differenziale. 

E’ l’ultima presenza della scuderia Lancia in un Gran Premio. Uomini e mezzi passano alla Ferrari. E’ l’anno della tragedia alla 24h di Le Mans – l’11 Giugno 1955 - con la Mercedes 300 SLR di Pierre Levegh che vola tra il pubblico provocando la morte di 83 spettatori, oltre a 120 feriti. Castellotti è in gara con Paolo Marzotto su una Ferrari 121 LM ma, dopo essere stati tra i protagonisti delle fasi iniziali della corsa, concludono anzitempo per problemi al motore. 

Tra gare annullate e campionati ridotti arriva il Gran Premio d’Italia all’Autodromo di Monza, che vede il debutto della curva sopraelevata. Eugenio Castellotti prende il via con una Ferrari 555 - un muletto con cui aveva effettuato alcuni giri durante le prove - schierandosi in quarta posizione grazie al crono ottenuto con la D50 (cambio consentito dal regolamento), non adatta quest’ultima alla corsa per l’eccessivo consumo di pneumatici. Il Gran Premio è dominato dalla Mercedes di Juan Manuel Fangio, al comando dalla partenza alla bandiera a scacchi ad eccezione dell’ottavo giro. Il campione argentino conclude davanti a Stirling Moss con la seconda Mercedes carenata in gara. Terzo posto per Castellotti. Stessa posizione nel Mondiale in una stagione che si conclude con la vittoria alla 10 Ore di Messina. Eugenio si prepara alla stagione 1956 con la certezza che sarà la prima guida della Scuderia Ferrari, che, però, ingaggia Fangio, libero dopo il ritiro della Mercedes, e Luigi Musso, giovane emergente in arrivo dalla Maserati. 

Una stagione straordinaria. La prima gara in Argentina vede Castellotti protagonista in prova ma sfortunato nella gara conclusa anzitempo. Con Fangio trionfa in Florida alla 12 Ore di Sebring con la 860 Monza ma l’apoteosi è alla 1000 Miglia, il 29 Aprile. Sotto la pioggia battente porta al successo la 290 MM, una vittoria che proietta il pilota ai vertici del motorsport. E non solo. Ormai è anche un personaggio da copertina dei rotocalchi anche per la relazione con l’attrice Delia Scala. In pista deve ritirarsi a Montecarlo e a Spa, e in Francia - circuito di Reims – per ordini di scuderia deve accontentarsi del secondo posto alle spalle di Peter Collins. Una decisione poco gradita. 

In luglio si rifà vincendo il gran premio di Rouen per vetture Sport con la Ferrari 860 Monza. La gara sulla pista di casa, il Gran Premio d’Italia, lo vede protagonista in prova – seconda posizione dietro a Fangio e davanti a Musso, tutti su Ferrari – e nei primi quattro giri della corsa, condotti in prima posizione prima del ritiro per problemi a uno pneumatico e conseguente testacoda ad oltre 250 chilometri all’ora. Primo posto finale per la Maserati di Stirling Moss. Come nel 1955, Eugenio è campione assoluto velocità. 

Parte con un nulla di fatto il 1957. In Argentina, Castellotti si ferma quando è terzo per problemi a una ruota. Una settimana più tardi la rivincita. Sulla stessa pista vince insieme a Cesare Perdisa la 1000 chilometri di Buenos Aires con la 290 MM. Poco fortunato il ritorno oltreoceano per il Gran Premio di Cuba per vetture Sport dove colleziona un altro ritiro. 

L’epilogo. L’Italia rimase scossa dalla morte di Eugenio Castellotti, eroe sportivo del momento, vittima di un incidente durante una sessione di prove all’Aerautodromo di Modena. C’era da provare la 801 e da battere, come voleva Enzo Ferrari, il record della pista stabilito il giorno prima da Jean Behra con la Maserati. Lo schianto dopo pochi giri. Alla “S”, la Ferrari 801 non curvò e andò a schiantarsi a circa 200 chilometri orari. Tra le ipotesi, la rottura della trasmissione, il blocco dell’acceleratore, la stanchezza – forse - del pilota, che in quei giorni viaggiava spesso tra Modena e Firenze, dove la fidanzata Delia Scala era impegnata in uno spettacolo teatrale. L’incidente alle 17.19 del 14 marzo 1957. Eugenio era nato a Lodi il 10 ottobre 1930.

giovedì 30 gennaio 2025

Romolo Tavoni, ragioniere delle corse




Riproponiamo un articolo di Luciano Passoni, redatto in occasione di un incontro con Romolo Tavoni (Formigine, 
30 gennaio 1926 - Casinalbo, 20 dicembre 2020)

> di Luciano Passoni

La figura è elegante, a dispetto dell’età e di qualche acciacco, riceve gli amici o quanti vogliono incontrarlo molto volentieri. Apre la porta della sua casa e ci accoglie con una voce ancora austera e ferma. Il taccuino, le foto, il registratore o lo smartphone, c’è l’imbarazzo per il cronista su che cosa fissare quel fiume in piena di ricordi, aneddoti e episodi che racconta con passione, quasi fossero successi ieri, ed invece abbracciano più di mezzo secolo di storia dello sport auto, vissuta dalle stanze dei bottoni all’asfalto delle piste. Sempre in prima linea, meglio in pole position visto l’argomento, per lui arrivato quasi per caso in un mondo che non conosceva. Fresco di diploma comincia alle Officine Alfieri Maserati, poi prevale il desiderio del posto fisso e sicuro, e si ritrova giovane ragioniere di una banca. E’ l’Istituto Bancario che lo manda in missione alla Ferrari, Il compito è di tenere sotto controllo i conti dell’azienda del cavallino che passavano attraverso un prestito dell’Istituto stesso. Lavora, letteralmente parlando, al fianco del signor Enzo, nella stessa stanza con un tavolo, due sedie ed un armadio. Il caratterino del commendatore non tardò a manifestarsi, ma niente di preoccupante quando urlava, il problema vero era quando stava in silenzio. Finito il suo compito ed in procinto di tornare alla sede Enzo Ferrari, che evidentemente lo ritiene prezioso, lo assume direttamente, così comincia la sua “carriera”. Non esiste un ruolo ed una mansione, si lavora e basta, in azienda o sui circuiti, in Italia e nel resto del mondo. Sono gli anni in cui il cavallino rampante diventa leggenda, con le vittorie a grappoli nelle corse più importanti, dalla formula uno agli sport prototipi. Trionfi che servono ad incentivare le vendite. Ricorda ancora bene come nel mese successivo ad una vittoria di Le Mans gli ordini raddoppiavano, osservazione che ci riporta il pragmatico ragioniere sempre attento ai conti. Ma ovviamente è la parte sportiva che prende il sopravvento negli episodi, nelle storie e nelle vicende umane che hanno arricchito e riempito la sua esistenza di sensazioni e di emozioni irripetibili. Conoscendo la nostra provenienza inevitabile parlare di Eugenio Castellotti, la distanza del tempo attenua il dolore ma non la memoria, per lui e per il gruppo di piloti definiti “gli indisciplinati” (cit. da Luca Delli Carri), storie di vite vissute nel mito della velocità, consapevoli che ad ogni curva un rischio, con il traguardo che troppo spesso non era rappresentato dalla bandiera a scacchi. Con loro un elenco infinito di nomi, di uomini e di donne, vicende intrecciate, nel bene e nel male, nelle gioie e nelle tragedie. Tanti episodi finiti in dramma e qualche curiosità degna di telefilm d’azione, come si diceva una volta. Così è il racconto del G.P. del Venezuela che sanciva la vittoria nel Mondiale Marche del 1957, a scapito di Maserati, l’avversario scomodo posto all’altro lato della via Emilia. La missione di vincere gara e mondiale è portata felicemente a termine. Il problema è portar fuori da quel paese il trofeo destinato al vincitore, qualche chilo d’oro che suscita l’interesse di molti e mette nel dubbio l’onestà di tanti. Viene studiato un percorso alternativo dal circuito all’aeroporto, con l’aiuto di un residente italiano che lavora per una compagnia petrolifera e tra autocisterne, bagagliai, doppifondi e finte valigie il trofeo arriva nella bacheca di Maranello. E’ l’ATS con il gruppo di tecnici e dirigenti fuoriusciti da Ferrari che lo allontana dall’azienda. L’ avventura finisce molto presto, errori madornali nella conduzione finanziaria e mondo delle corse sembra destinato per lui a restare un ricordo del passato. Un uomo con la sua esperienza e capacità non può non destare interesse e arriva la chiamata dell’ACI Milano, che significa in sostanza Monza. Romolo Tavoni diventa così il braccio esecutivo di Luigi Bertett, presidente del sodalizio milanese, sarà lui a tradurre in pratica un’idea del dirigente milanese che si rivelerà geniale: la creazione di una formula addestrativa per giovani piloti. Nasce così la Formula 875 Monza e anche il mito di Tavoni, associato per sempre a quel straordinario periodo sportivo. Un progetto che non avrà più eguali, fatto non solo da un’idea di vettura, ma legato alla logistica del circuito, alla giornata di gare e all’economia dei partecipanti, vedi prove gratuite e semplicità regolamentari. Con il tempo e successivi passaggi la categoria ha poi perso il suo valore formativo e, ad oggi, possiamo considerarla come una eredità che è andata purtroppo dispersa. Non è certo qualche campionato monomarca, più o meno sostenuto da federazioni od enti sportivi generalisti, con costi comunque insostenibili, che possa paragonarsi al glorioso passato. Da qui forse anche la mancanza di piloti italiani agli alti livelli internazionali nel settore monoposto. Tutto questo lo vede naturalmente sempre attento e curioso, ma il tempo trascorso è veramente tanto e il rammarico non può tradursi, per la sua generazione, in azione, mentre per quelle nuove sembra contare di più l’apparire che l’essere, con le scuole piloti sostituite dagli addetti stampa e dai manager, attenti al colore della vettura o del casco, alla location, alle ospitality e con la pratica in pista comprata su Google Play. Per rifarci da questo velo di amarezza, torniamo con lui al mito del passato e ripassiamo, sfogliando il libro Melegnano Motori, le tante storie che riguardano proprio l’epopea delle “pettarelle”. Poi la nostra cronaca della tappa di Lodi della Mille Miglia gli ricorda un suo ultimo passaggio da Guidizzolo (MN), cittadina che vide l’incidente di De Portago con la Ferrari, episodio che mise fine, oltre alle vite delle vittime, alle corse su strada in Italia. Un ricordo struggente, il riconoscimento del corpo che dovette fare nella sua qualità di rappresentante della Ferrari, del pilota spagnolo, uno degli “indisciplinati”, che al pari di Eugenio Castellotti diede molto lavoro alla stampa “rosa” dell’epoca. Nell’occasione lo lasciò di stucco la visione del monumento, posto in quel luogo; non si capacitava dell’aspetto poco curato, irrispettoso per i caduti di quella tragedia, tanto da recarsi in Comune, non solo per protestare, ma offrendosi per le spese occorrenti a ridare dignità a quella gente e a quell’episodio. Finisce così, tra dediche ed autografi; vuole anche il nostro sul libro che gli abbiamo donato e che oggi è là, su quella mensola prestigiosa, insieme a chissà quali storie e quali scrittori. Lo abbracciamo, non solo idealmente, e ci invita a ritornare, quando in realtà noi non vorremmo proprio andarcene, per sentire e gustare chissà quante altre storie. Lui prende la bandiera a scacchi e sale sul podio di Monza, la sventola con autorità scrivendoci un’ultima dedica: “Questa è la parte che mi ha dato più soddisfazione, Romolo Tavoni”.

(P.S. Ringraziamo l’amico Lello Soncini che ci ha “raccomandato”, aiutato e accompagnato in questo incontro. La dedica di Romolo Tavoni (foto in alto) è sulla fotografia posta sul libro “TROFEO CADETTI: una storia che continua”, di Massimo Campi e Roberto Chinchero – Promit Edizioni – 1996)


Romolo Tavoni, a sinistra, con Luciano Passoni
e Lello Soncini, storico ufficiale di gara a Monza

sabato 25 gennaio 2025

F1 Anni Settanta, foto dall'Archivio di Franco Bossi

F1 Anni Settanta
50 foto dall'Archivio di Franco Bossi
riproduzione riservata