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martedì 12 novembre 2024

Opel 260 CV, l’auto da corsa con motore di 12.300cc


Altrimenti nota con il soprannome di “Mostro Verde”, con il suo 4 cilindri di 12,3 litri di cilindrata (alesaggio/corsa = 125 x 250 mm), la Opel 260 CV è probabilmente l’auto da corsa con il motore di maggiore cubatura mai realizzata. Costruita 110 anni fa, all’inizio del 1914 - sulla base della precedente Opel 110 CV sempre da competizione, ma con motore di 4,5 litri - aveva un allora rivoluzionario bialbero con 4 valvole in testa per ciascun cilindro da 260 CV a 2.900 giri/minuto che le permetteva di raggiungere una velocità massima di 228 km/h. Ad esso era abbinato un cambio a 4 marce che trasmetteva il moto all'asse posteriore.

Lo sviluppo di questo gigante a quattro ruote non costò meno di 90.000 Marchi dell’epoca. Una fortuna che però si ammortizzò solo nel corso degli anni poiché Carl Jörns, che prese parte a molte corse con questo mostro, riuscì non solo a conquistare più di 200 vittorie, ma anche a guadagnare considerevoli premi in denaro. Temporaneamente accantonata durante la Prima Guerra Mondiale, la Opel 260 CV fu riutilizzata dal 1922 e ancora con alla guida Carl Jörns vinse per tre anni consecutivi (1922-1924) la popolare corsa cittadina sull'isola danese di Fanö e numerose altre gare.

La vettura è stata restaurata tra il 1998 ed il 2001 e si trova ora presso il garage Opel Classic di Rüsselsheim.

lunedì 11 novembre 2024

Vittorio Brambilla, 20 foto di Franco Bossi


Vittorio Brambilla 

Monza, 11 novembre 1937 
Lesmo, 26 maggio 2001

20 foto di ©Franco Bossi

Riproduzione riservata



















giovedì 10 ottobre 2024

Castellotti, una vita di corsa


Debutto da dimenticare per Eugenio Castellotti nel mondo delle corse. E’ il 1° Aprile 1951, la corsa il Giro di Sicilia, l’auto la sua Ferrari 166 MM Barchetta, condivisa con l’amico Pino Rota. Non vedono la bandiera a scacchi, costretti al ritiro dopo alcune uscite di strada. Ma poco più che ventenne, il  pilota lodigiano pensa già alla seconda gara. Meno convinto il suo compagno di abitacolo che, però, alla fine di Aprile si lascia convincere e lo segue a Brescia per condividere la Ferrari 166 MM nella 1000 Miglia. Eugenio conclude al 50° posto assoluto, sesto di classe. Risultato di rilievo per un pilota alle prime esperienze agonistiche. Segno che gli assidui allenamenti serali sulla via Emilia tra Lodi e Milano non sono inutili. Coppa della Toscana, Coppa delle Dolomiti e Giro delle Calabrie, concluso al terzo posto di classe, sono le altre uscite della prima stagione di corse.
Castellotti è un giovane di talento. La conferma nel 1952 con i colori della Scuderia Guastalla di Luigi Chinetti e Franco Cornacchia. E il primo successo. Dopo la vittoria di classe al Giro di Sicilia, ecco quella assoluta alla Coppa d’Oro di Sicilia con la Ferrari 225 S. Al suo fianco c’è Annibale Broglia. Come alla 1000 Miglia che lo vede subito tra i protagonisti prima del ritiro per una uscita di strada quando è secondo assoluto. La stagione prosegue con altre due vittorie a Oporto, sempre con la 225 S, e a Senigallia con la 166 MM. L’esperienza alla Scuderia Guastalla è positiva per Eugenio che beneficia della presenza di piloti di fama internazionale del calibro di Alberto Ascari e Gigi Villoresi. 

La stagione 1953 inizia però con poca fortuna. Fuori al Giro di Sicilia, fuori alla 1000 Miglia, disputata con una Ferrari 340 Mexico Berlinetta Vignale. Con una 212 S riesce a salire sul gradino più alto del podio del Trofeo Sardo, ma i risultati migliori arrivano nelle corse in salita con le vittorie in due classiche come la Varese-Campo dei Fiori e Bolzano-Mendola. E’ campione italiano della montagna. 

Le prestazioni di Eugenio non passano inosservate. E’ estremamente veloce e sempre più affidabile ed arriva la chiamata della Lancia che gli mette a disposizione una D24 per le gare di durata. Ma alla 1000 km del Nurburgring, che dovrebbe correre con Giovanni Bracco, non riesce a prendere il via a causa di problemi elettrici. Un’altra corsa leggendaria, la Carrera Panamericana, lo vede al terzo posto finale alle spalle di Fangio e Taruffi, che però potevano disporre di auto più performanti. 

Castellotti diventa pilota Lancia nel 1954 e nella scuderia torinese trova Alberto Ascari, due volte iridato di Formula 1. Ancora due ritiri in apertura di stagione a Sebring – con Fangio su una D24 – e alla 1000 Miglia, sempre su D24. Le corse in salita portano un altro titolo tricolore e ben cinque vittorie assolute. 
Da dimenticare la prima corsa con la Lancia D50 di Formula 1, grande debuttante della stagione 1955. Al Gran Premio di Argentina, Castellotti è costretto dal caldo a lasciare la vettura a Villoresi che si ritira. Epilogo analogo alla 1000 Miglia con la Ferrari 121 LM dopo aver chiesto troppo alle gomme per difendere il primo posto da Moss e Jenkinson, che con la Mercedes conquistano vittoria e record della corsa. 

A Montecarlo, primo posto per Maurice Trintignant su Ferrari davanti a Castellotti. Con Alberto Ascari che conclude la sua ultima corsa in mare. Dopo pochi giorni, Ascari e Castellotti si incontrano all’Autodromo di Monza, dove il giovane lodigiano prova la Ferrari 750 Monza in vista del Gran Premio Supercortemaggiore. Ascari, ancora provato dall’esperienza di Montecarlo, chiede a Eugenio di fare qualche giro utilizzando il suo casco e i suoi guanti. La prova si conclude con un incidente mai chiarito in cui Ascari perde la vita. Un duro colpo per il mondo dell’automobilismo sportivo, oltre che per Castellotti. Gianni Lancia decide di ritirarsi e le monoposto di F1 passano a Enzo Ferrari. In Belgio, nel Gran Premio successivo, Eugenio partecipa in forma privata, anche se con i colori Lancia, e ottiene una brillante pole position ma in gara è costretto al ritiro a causa della rottura del differenziale. 

E’ l’ultima presenza della scuderia Lancia in un Gran Premio. Uomini e mezzi passano alla Ferrari. E’ l’anno della tragedia alla 24h di Le Mans – l’11 Giugno 1955 - con la Mercedes 300 SLR di Pierre Levegh che vola tra il pubblico provocando la morte di 83 spettatori, oltre a 120 feriti. Castellotti è in gara con Paolo Marzotto su una Ferrari 121 LM ma, dopo essere stati tra i protagonisti delle fasi iniziali della corsa, concludono anzitempo per problemi al motore. 

Tra gare annullate e campionati ridotti arriva il Gran Premio d’Italia all’Autodromo di Monza, che vede il debutto della curva sopraelevata. Eugenio Castellotti prende il via con una Ferrari 555 - un muletto con cui aveva effettuato alcuni giri durante le prove - schierandosi in quarta posizione grazie al crono ottenuto con la D50 (cambio consentito dal regolamento), non adatta quest’ultima alla corsa per l’eccessivo consumo di pneumatici. Il Gran Premio è dominato dalla Mercedes di Juan Manuel Fangio, al comando dalla partenza alla bandiera a scacchi ad eccezione dell’ottavo giro. Il campione argentino conclude davanti a Stirling Moss con la seconda Mercedes carenata in gara. Terzo posto per Castellotti. Stessa posizione nel Mondiale in una stagione che si conclude con la vittoria alla 10 Ore di Messina. Eugenio si prepara alla stagione 1956 con la certezza che sarà la prima guida della Scuderia Ferrari, che, però, ingaggia Fangio, libero dopo il ritiro della Mercedes, e Luigi Musso, giovane emergente in arrivo dalla Maserati. 

Una stagione straordinaria. La prima gara in Argentina vede Castellotti protagonista in prova ma sfortunato nella gara conclusa anzitempo. Con Fangio trionfa in Florida alla 12 Ore di Sebring con la 860 Monza ma l’apoteosi è alla 1000 Miglia, il 29 Aprile. Sotto la pioggia battente porta al successo la 290 MM, una vittoria che proietta il pilota ai vertici del motorsport. E non solo. Ormai è anche un personaggio da copertina dei rotocalchi anche per la relazione con l’attrice Delia Scala. In pista deve ritirarsi a Montecarlo e a Spa, e in Francia - circuito di Reims – per ordini di scuderia deve accontentarsi del secondo posto alle spalle di Peter Collins. Una decisione poco gradita. 

In luglio si rifà vincendo il gran premio di Rouen per vetture Sport con la Ferrari 860 Monza. La gara sulla pista di casa, il Gran Premio d’Italia, lo vede protagonista in prova – seconda posizione dietro a Fangio e davanti a Musso, tutti su Ferrari – e nei primi quattro giri della corsa, condotti in prima posizione prima del ritiro per problemi a uno pneumatico e conseguente testacoda ad oltre 250 chilometri all’ora. Primo posto finale per la Maserati di Stirling Moss. Come nel 1955, Eugenio è campione assoluto velocità. 

Parte con un nulla di fatto il 1957. In Argentina, Castellotti si ferma quando è terzo per problemi a una ruota. Una settimana più tardi la rivincita. Sulla stessa pista vince insieme a Cesare Perdisa la 1000 chilometri di Buenos Aires con la 290 MM. Poco fortunato il ritorno oltreoceano per il Gran Premio di Cuba per vetture Sport dove colleziona un altro ritiro. 

L’epilogo. L’Italia rimase scossa dalla morte di Eugenio Castellotti, eroe sportivo del momento, vittima di un incidente durante una sessione di prove all’Aerautodromo di Modena. C’era da provare la 801 e da battere, come voleva Enzo Ferrari, il record della pista stabilito il giorno prima da Jean Behra con la Maserati. Lo schianto dopo pochi giri. Alla “S”, la Ferrari 801 non curvò e andò a schiantarsi a circa 200 chilometri orari. Tra le ipotesi, la rottura della trasmissione, il blocco dell’acceleratore, la stanchezza – forse - del pilota, che in quei giorni viaggiava spesso tra Modena e Firenze, dove la fidanzata Delia Scala era impegnata in uno spettacolo teatrale. L’incidente alle 17.19 del 14 marzo 1957. Eugenio era nato a Lodi il 10 ottobre 1930.

domenica 6 ottobre 2024

François Cevert, la corsa spezzata


di Massimo Campi
foto di ©Raul Zacchè/Actualfoto

Era il 6 ottobre del 1973 ed in un assolato pomeriggio d’autunno se ne andava François Cevert, uno dei più promettenti piloti del momento. 
Watkins Glen, Stato di New York, è sabato pomeriggio, ultimo turno di qualifiche del Gran Premio degli Stati Uniti. Sulle piante attorno al circuito le foglie mostrano già i colori dell’autunno. Il suo caposquadra Jackie Stewart è già campione del mondo, il francese non deve correre più per coprirgli le spalle, può correre per se stesso, per vincere, proprio qui in America dove ha colto l’unico successo in F.1 proprio due anni prima. Sono le 11,54, mancano sei minuti al termine delle prove. Francoise è determinatissimo, vuole dimostrare al mondo che è degno del sedile di caposquadra alla corte di Ken Tyrrell. Vuole conquistare la pole position, vuole la vittoria e la seconda piazza in campionato. Ronnie Peterson, quello svedese che va come il vento, è il suo principale avversario con la nera Lotus 72. Si guardano negli occhi, lui ed il suo capo meccanico, Il messicano Ramirez – “Jo, ho la macchina n°6, la macchina è la 006, il Cosworth n°667, oggi faccio la pole, me lo sento. Ciao, vado!”. Ingrana la prima, molla la frizione e via nella pit lane. Jo Ramirez lo segue con la coda dell’occhio, sa che François ce la può fare, ma un minuto dopo non c’era già più.

Albert François Cevert Goldenberg nasce a Parigi il 25 febbraio 1944 durante l’occupazione nazista. Il padre, Charles Goldenberg, era un ebreo nato in Russia e fuggito con la famiglia in tenera età per scampare alle sommosse popolari antisemite del regime comunista. Il padre, di cognome Goldenberg, a Parigi lavora come gioielliere ed agli inizi degli anni trenta si sposa con la parigina Huguette Cevert, da cui ebbe tre figli. Gli ultimi due nacquero in una Parigi sconvolta dall’invasione nazista e per evitarne la persecuzione fu loro dato il cognome della madre, essendo quello del padre di origine chiaramente ebraica. Tra essi vi era anche François. La famiglia Goldenberg-Cevert è benestante, Francoise frequenta le migliori scuole della capitale, ha un’ottima istruzione ed è anche un buon pianista classico.

L’interesse verso i motori di Cevert nasce grazie alla sorella maggiore Jacqueline, la quale si fidanza con Jean-Pierre Beltoise (in seguito i due si sposeranno) che allora correva in moto. Nel 1964 Beltoise coglie un buon sesto posto nella 50cc del mondiale di motociclismo, ma ben presto passa alle quattro ruote, Cevert, oramai contagiato dalla passione per i motori, decide nello stesso anno di iscriversi alla scuola di automobilismo presso il circuito di Montlhéry.
Il giovane Francois va forte e nel 1966 conquista il prestigioso Volant Shell, battendo un’altra giovane promessa dell’automobilismo francese, Patrick Depailler. Il premio è un’intera stagione sponsorizzata nel Campionato Francese 1967 di Formula 3 al volante di un’Alpine-Renault. La monoposto vincente del momento è la Tecno e l’anno successivo si lega al Team dei fratelli bolognesi con cui vince il titolo nazionale.
Nella stagione 1969 la Tecno promuove Cevert in Formula 2. Debutta al III° Deutschland Trophäe all’Hockenheimring piazzandosi nono. Il resto della stagione è in crescendo e termina con il terzo posto assoluto in campionato, con una vittoria anche nel Gran Premio di Reims.

Continua in F2 nel 1970 con la Tecno, ma la F.1 è alle porte. Varie scuderie hanno già notato il talentuoso francese e il sogno di approdare nella massima categoria automobilistica si concretizza poco prima di metà stagione. Il connazionale Johnny Servoz-Gavin, che corre per il team Tyrrell, decide improvvisamente di ritirarsi dopo il Gran Premio di Monaco del 1970. Venutasi così a trovare senza un pilota, la Tyrrell sceglie proprio Cevert per rimpiazzare Servoz-Gavin. È lo stesso Stewart a segnalare Cevert a Ken Tyrrell dopo che il 25 maggio dello stesso anno aveva lottato con lui durante il XVIII° London Trophy di Formula 2 al Crystal Palace. Cevert è anche sostenuto da Francoise Guiter, il patron della Elf che sponsorizza il team del boscaiolo. In Francia è polemica, la stampa ritiene che ci siano altri giovani francesi che meritano quel posto, ma ben presto Cevert smentisce tutti, anche le iniziali perplessità di Ken Tyrrell, conquistando ben presto la fiducia di tutti.

L’esordio sulla March del team Tyrrell avviene il 21 giugno 1970 al Gran Premio d’Olanda sul circuito di Zandvoort. La corsa si chiude per un guasto al motore al 31º giro. Il primo punto mondiale arriva il 6 settembre a Monza. Cevert conquista la fiducia di Ken Tyrrel che lo conferma per le stagioni successive. Stewart è l’indiscusso pilota n°1 del team che si appresta a conquistare il suo primo titolo mondiale come costruttore. Tra i due piloti nasce subito una profonda amicizia: lo scozzese diventa il “maestro” di Cevert, dando ripetuti consigli ed aiutandolo non poco a maturare le proprie innate qualità. La nuova Tyrrell con il DFV Cosworth ufficiale è la vettura da battere per la stagione 1970, il compito del francese è quello di coprire le spalle a Jackie per la conquista del titolo e Francois non delude le aspettative.

Data la vittoria anticipata del titolo da parte di Stewart, per Cevert si presenta l’occasione di mettersi in mostra nelle tre gare conclusive della stagione. Il 5 settembre, nel Gran Premio d’Italia a Monza, il francese coglie un terzo posto, seguito poi dalla sesta piazza nel Gran Premio del Canada a Mosport Park due settimane dopo. La stagione si chiude con il Gran Premio degli Stati Uniti, a Watkins Glen il 3 ottobre. Dopo aver superato Denny Hulme, Stewart prende la testa, ma al 14º giro lo scozzese lascia passare Cevert, nel frattempo portatosi in seconda posizione. Il francese non perde più il comando e ottiene la prima vittoria della sua carriera, staccando Jo Siffert su BRM e Peterson di oltre 40 secondi. La gioia di Cevert è ovviamente immensa e il pilota riceve in premio 50.000 dollari. Con lui festeggia l’intera Francia, dal momento che Cevert è il secondo francese che riesce a vincere un Gran Premio nella storia della Formula 1 dopo Maurice Trintignant, vittorioso a Monaco nel 1955 e nel 1958.

La Tyrrell si presenta al via della stagione 1972 con la medesima coppia di piloti dell’anno precedente. Stavolta però Stewart ha un avversario difficile da battere, Emerson Fittipaldi che alla fine conquista il titolo con la Lotus 72. Per Cevert il 1972 si chiude al sesto posto della classifica piloti con solo 15 punti dopo vari ritiri e piazzamenti. La delusione di Cevert è palpabile e il francese si consola con un prestigioso secondo posto alla 24 ore di Le Mans, in coppia con il neozelandese Howden Ganley con la Matra-Simca 670. Con la barchetta francese continua a correre anche nel 1973 dove conquista la 1000 Km di Vallelunga con Henry Pescarolo e Gerard Larrousse.

La lotta Tyrrell – Lotus continua nel 1973, ed è anche lotta tra i primi ed i secondi piloti. Stewart contro Fittipaldi per la testa del campionato Cevert con Peterson per le altre due posizioni, è questo il film di quella stagione. Il brasiliano vince il primo Gran Premio, in Argentina, proprio davanti a Cevert che giunge staccato di appena 4.69 secondi. Terzo giunge Stewart, a dimostrazione del gran livello raggiunto dalla Tyrrell durante la pausa invernale. Le due gare seguenti sono deludenti per il francese, che giunge decimo in Brasile e si ritira in Sudafrica. Il prosieguo di stagione è tuttavia eccellente per Cevert, che conquista due secondi posti consecutivi in Spagna e in Belgio. Giunge quindi quarto a Monaco e terzo al Gran Premio di Svezia, prima di conquistare un nuovo secondo posto in Francia e un quinto in Gran Bretagna. Il 29 luglio coglie a Zandvoort, nel Gran Premio d’Olanda, un nuovo secondo posto dietro al compagno Stewart.

Cevert, bellissimo ed affascinante come un attore. Occhi azzurri, profondi, magnetici, è lanciatissimo ed in Francia è quasi un eroe nazionale. Si muove per l’Europa pilotando personalmente il suo Piper, non c’è ragazza che non abbia una sua foto, non c’è rivista che non lo ritragga. Si muove molto bene nel jet set, ha diverse donne tra cui vanta due fidanzate storiche, ricchissime, nobili e precocemente divorziate: Anne Nanou Van Malderen e Christina de Caraman-Chimay; ma la stampa transalpina gli attribuisce anche un presunto flirt con Brigitte Bardot. La star francese non smentisce, François da gentiluomo ….. non conferma!
In Germania: è ancora doppietta Tyrrell, con Stewart primo e Cevert subito dietro, con appena 1.6 secondi di distacco, a dimostrare totale rispetto per le gerarchie di squadra ma anche piena legittimazione ad aspirare al titolo mondiale. Per lo scozzese è infatti il 5° successo stagionale, che gli vale la matematica conquista del titolo mentre il francese si proietta nei piani alti della classifica, contendendo addirittura la seconda posizione a Fittipaldi.Le successive due gare tuttavia non vanno secondo l’esito sperato. Cevert si ritira in Austria e in Italia giunge solo quinto. Per contro Fittipaldi coglie un secondo posto, mentre uno strepitoso Peterson vince sia a Zeltweg che a Monza.

A questo punto per Cevert resta la possibilità di conquistare il secondo posto, al fine di chiudere nel migliore dei modi una già ottima annata e si presenta determinatissimo per l’atto conclusivo della stagione in Nord America. Però l’annata ha una brusca sterzata ed il 23 settembre a Mosport Park, nel Gran Premio del Canada, Cevert è coinvolto, in un brutto incidente causato dall’irruente Jody Scheckter. Il francese riporta una ferita ad una caviglia ed il tutto finisce in una violenta litigata con il giovane sudafricano. La Tyrrell 006 ha la pedaliera distrutta e così in fretta e furia viene fatta arrivare in aereo dall’Inghilterra una nuova vettura, la 006/3, giusto in tempo per il Gran Premio degli Stati Uniti, in programma il 7 ottobre a Watkins Glen, mentre lui è in vacanza alle Bahamas con Jackie ed Helen Stewart.

La lotta è ancora con Ronnie Peterson ed i due battagliano in prova per guadagnare la pole position, fino a sei minuti dalla fine delle prove quando la Tyrrell esce alle velocissime “Esse”, nella parte iniziale del tracciato, il bolide non curva, andando a schiantarsi ad oltre 180 chilometri orari contro le vicine barriere metalliche e rimbalzando contro quelle dall’altra parte della pista dopo essersi capovolta. Infine la Tyrrell si incunea tra i due guard rail sovrapposti. L’impatto è violentissimo e l’entità del dramma viene subito percepita: i primi ad accorrere sono Jody Scheckter e l’amico Carlos Pace, i quali capiscono che c’è ben poco da fare. I commissari di gara trovano il pilota intrappolato tra i rottami dell’auto ed orrendamente straziato dalle lamine del guard-rail. Una delle ruote anteriori gli ha sfondato il casco, provocandone la morte istantanea. Cevert non viene neanche estratto subito dalla carcassa della Tyrrell, procedendo i commissari prima a disincastrare, con un carro attrezzi, la vettura dal parapetto metallico: come dirà l’attonito compagno e amico Stewart, recatosi immediatamente sul posto, «L’hanno lasciato nell’auto perché era chiaramente morto». Stewart abbandona immediatamente la scena dell’incidente e torna ai box, cosa che costituirà il rimorso della sua vita, per non essersi trattenuto di più ed aver fatto qualcosa pur se inutile, anche solo togliere il casco, al fedele scudiero di tre intense stagioni.

Ignote le cause dell’incidente: alcuni, tra i quali Niki Lauda, anni dopo, nel suo libro “Io e La Corsa”, parlarono di un insidioso avvallamento sull’asfalto su cui François sarebbe passato per una traiettoria eccessivamente aggressiva a bordo pista; chi di malore del pilota per l’essere salito in macchina dopo una crisi di vomito (e vomito fu infatti repertato nel cappuccio ignifugo e sulla visiera in sede di autopsia); altri attribuirono la responsabilità ai postumi della ferita alla caviglia riportata due settimane prima ed in effetti il francese sfoggiava ai box una vistosa bendatura. Per il compagno Stewart invece, semplicemente e contro il suo consiglio, il francese avrebbe affrontato le “Esse” in terza marcia ad altissimo numero di giri col risultato di avere una vettura più pronta ma nervosissima ed incontrollabile in caso di difficoltà. Lo scozzese anzi aggiunse che dopo l’incidente, quando risalì in vettura per affrontare la quarta ed ultima sessione di prove, staccando tra l’altro il settimo tempo, ebbe anch’egli delle difficoltà alle “Esse” ma riuscì a tenere in strada la vettura in quanto la quarta marcia gli permise un controllo molto più morbido e facile.

L’incombenza di avvertire i famigliari tocca al cognato Beltoise. Cevert venne sepolto nel Cimitero di Vaudelnay, nel dipartimento del Maine e Loira.
La morte del ventinovenne pilota francese sconvolge la Formula 1, primo fra tutti Stewart. Lo scozzese confesserà tempo dopo che nell’aprile 1973 aveva maturato la decisione di abbandonare la F1, lasciando a Cevert il ruolo di prima guida in Tyrrell per la stagione 1974. Stewart aveva parlato della cosa solo con il patron Ken Tyrrell, Jackie non aveva informato neppure la moglie Helen, presente in quel tragico weekend a Watkins Glen, per evitarle la tensione del conto alla rovescia delle ultime gare da disputare. È facile quindi capire come, con questo rigido patto del silenzio, François mai abbia saputo che sarebbe divenuto il nuovo primo pilota della Tyrrell, con indubbie chances di vincere il titolo mondiale, cosa che la Francia dava ormai quasi per scontato.
In tarda serata la Tyrrell annuncia il ritiro dal Gran Premio delle due vetture superstiti, la 005 di Chris Amon e la 006/2 di Jackie Stewart. Lo scozzese, distrutto dal dolore, non prende così parte a quella che, in ogni caso, sarebbe stata la centesima ed ultima gara della sua carriera. Il giorno successivo rilascia delle interviste in cui manifesta l’intenzione di lasciare, intenzione che sarà ufficializzata, al ritorno in patria, in una conferenza stampa al Tower Hotel di Londra.

La migliore descrizione della personalità del giovane francese è quella data da Helen Stewart in una intervista: “esistono persone eccezionali che hanno tutto ed un magnetismo particolare. Nella vita ne incontri due o tre al massimo, perché sono persone che conquistano subito tutti quelli che hanno attorno e riempiono lo spazio in cui si trovano. Francois era uno di questi!”


giovedì 5 settembre 2024

Clay Regazzoni, campione della passione


- di Massimo Campi
- Immagini © Raul Zacchè/Actualfoto

Svizzero di nascita, italiano di origini e adozione, latino di carattere. Clay Regazzoni (
5 settembre 1939 – 15 dicembre 2006) era simpatico e istrione, un campione di cuore, amato ovunque andasse, con quel suo modo di intendere le gare, di affrontare la vita. Ci metteva impegno, serietà, grinta, ma anche quel senso di piacere nel seguire le sue passioni. Sempre in entrambe le sue due vite, quella prima e quella dopo. Già due vite, unite dalla velocità e separate da un pedale del freno che si spezza a Long Beach. 

“Viveur, danseur, calciatore, tennista e, a tempo perso, pilota: così ho definito Clay Regazzoni, il brillante, intramontabile Clay, ospite d’onore ideale per le più disparate manifestazioni alla moda, grande risorsa dei rotocalchi femminili… si affinò, come stile e temperamento, che era fra i più audaci, fino a diventare un ottimo professionista. Gli avversari lo hanno sempre rispettato”. Enzo Ferrari si innamora presto di Gian Claudio Regazzoni al secolo Clay, come era stato chiamato da quella marea di pubblico che lo porta in trionfo a Monza 1970, quando sbanca il Gran Premio d’Italia alla sua terza gara con la Formula 1.

Il 5 settembre 1939 cominciava la storia di Regazzoni. La cronaca dice che era nato a Lugano, Svizzera, Canton Ticino, e già aveva la velocità nell’indole. “Gian Claudio venne alla luce così in fretta che volevano chiamarlo Furio” è il lontano ricordo di sua madre, invece, proprio la mamma fu incuriosita da un nome che vide su un giornale, Jean Claude, Gian Claudio all’italiana, o ticinese.

Il padre, carrozziere; Clay le macchine inizia a conoscerle nel cortile della azienda di famiglia. Silvio Moser, l’amico che lo porta in pista, gli fa conoscere la passione, la velocità, la competizione. E via per le piste, Clay va veloce, ha grinta. Formula Tre, Clay è ben presto nel manipolo dei giovani rampanti, dove ogni staccata è quella decisiva. Si corre su piste improvvisate, su piste vere, su tracciati cittadini. Clay sfida più volte la sorte: a Montecarlo la sua Tecno si infila tra le lame del rail. Si ferma con il casco che sfiora la lama metallica, per pochi millimetri non rimane decapitato. Niente paura, sono cose che succedono in quegli anni, come quando a Caserta perdono la vita tre cavalieri del rischio e Clay ancora una volta esce indenne da quel macello.
Formula Due, al via con la Tecno ufficiale dei Fratelli Pederzani, è il 1970, il suo anno. Vince il titolo europeo, lo vuole Enzo Ferrari ed a Monza sbanca la roulette della passione. Clay è un campione, l’Italia da corsa, la Ferrari, aspettava da anni un pilota così, anche se corre con la stella rossa crociata sul casco bianco per tutti è italiano, soprattutto dentro. È il giorno dopo della scomparsa di Jochen Rindt, Monza passa dal dolore alla festa rossa. Cinque anni dopo, nel 1975 è ancora Clay ad essere portato in trionfo nel giorno della conquista mondiale di Niki Lauda e della vittoria Ferrari col pilota più amato. Regazzoni non è solo Ferrari. L’idillio con la rossa finisce, ma non con i suoi tifosi. Passa alla corte di Frank Williams e, a 40 anni, regala alla squadra britannica la sua prima vittoria in Formula 1 sulla pista di Silverstone.

30 marzo 1980, Long Beach (California). È il 51° giro di gara, Clay pigia il freno della sua Ensign per affrontare la staccata alla fine della Shoreline Drive. Sotto la suola della sua scarpa trova il vuoto, il pedale si è spezzato, la monoposto viaggia ad oltre 250 all’ora ed alla fine del rettilineo c’è solo un muro di cemento. Quella volta ha perso la sua personale sfida con la sorte, da quel momento inizia la sua seconda esistenza.
Ha preso il via a 132 gare, dove ha ottenuto cinque vittorie, 13 secondi posti, 10 terzi posti, una serie di piazzamenti e per ben 15 volte il giro più veloce in gara. Clay Regazzoni deve dare l’addio alla Formula 1. Lo attendono quattro anni di ospedale, più di 60 ore di interventi e la sedia a rotelle come compagna di avventura, perché ormai c’è la certezza che Clay non avrebbe più camminato.

Cambia la prospettiva, ma non cambia la passione ed il modo di affrontare la vita. Clay non si ferma, comincia a sviluppare i sistemi di guida manuale e prosegue a correre. Prende parte più volte alla Parigi-Dakar, corre in kart, sulle vetture d’epoca, e diventa uno specialista dei grandi raid.
Clay, anche sulla sedia a rotelle, sembrava immortale con un volante in mano. Poi l’ultimo atto:  scompare il 15 dicembre 2006 in un incidente d’auto sull’autostrada A1 non lontano da Parma.
Clay Regazzoni, da quella vittoria rossa del 1970 e dalle sue avventure nel deserto africano, è diventato un mito che è riuscito a sconfiggere il tempo e le avversità che gli ha riservato la vita, cogliendone sempre il meglio, magari con una battuta ed un sorriso. È mancato il titolo mondiale, quello scritto in cima alle classifiche negli albi d’oro, ma non il rispetto degli avversari. Clay, con la sua vita, il suo stile in pista e fuori, la sua personalità, le sue imprese, i tanti tifosi sulle piste che lo hanno sempre acclamato, ha saputo conquistare lo speciale titolo di “campione della passione rosso Ferrari”.


sabato 17 agosto 2024

Ayrton Senna Forever, prorogata al 3 novembre la mostra al Museo Nazionale dell’Automobile di Torino


A trent’anni dalla scomparsa di Ayrton Senna, il Museo Nazionale dell’Automobile di Torino ha dedicato al grande pilota brasiliano una mostra la cui data di chiusura, visto il successo di pubblico, è stata prorogata dal 13 ottobre al 3 novembre 2024.

Dai kart fino alle monoposto di Formula 1, la mostra AYRTON SENNA FOREVER raccoglie le auto più significative guidate da Senna nel corso della sua carriera, dalla prima Formula Ford all’ultima Williams. Le vetture sono corredate da documenti, pubblicazioni e memorabilia: tra questi, la più completa raccolta delle tute da corsa e dei caschi del pilota e la più ampia selezione di tutte le pubblicazioni uscite, nel mondo, su Ayrton Senna.

Ad accompagnare il racconto, un importante apparato visivo si articola lungo tutto il percorso: immagini spettacolari – alcune inedite –, filmati in Super8, installazioni audiovisive e una multi-proiezione su grande schermo. Tra le numerose fotografie esposte, realizzate dai più grandi fotografi dell’epoca, un’ampia selezione di scatti di Angelo Orsi, grande amico e fotografo ufficiale di Ayrton.

Foto Claudio Pezzoli / New Reporter Press
















venerdì 21 giugno 2024

ACI MILANO CELEBRA I 70 ANNI DELL’ALFA ROMEO GIULIETTA


Milano 21 giugno 2024 - Quest’anno l’Alfa Romeo Giulietta ha spento le 70 candeline. La “fidanzata d’Italia” venne svelata il 21 aprile 1954 al Salone di Torino, con la sola versione coupè. Per celebrare l’importante anniversario Automobile Club Milano dal 24 al 28 giugno espone 3 modelli di questa vettura (ingresso libero in orari di ufficio nella sede di Corso Venezia 43).

La prima ha una storia avventurosa: nel 2007 la Scuderia del Portello per onorare l’impresa del principe Scipione Borghese che cento anni prima aveva trionfato al volante dell’Itala nella Pechino-Parigi, schierò infatti questa Giulietta TI 1,3 del 1957 nel raid per auto storiche che ripercorre a ritroso il suggestivo viaggio tra due mondi.


La seconda è un’Alfa Romeo Giulietta spider monoposto “Sebring” del Museo Dinamico Alfa Romeo storiche da competizione della Scuderia del Portello(Foto Luca Danilo Orsi). Ha corso negli anni Cinquanta e Sessanta in America nell’SCCA, lo Sports Car Club of America, ottenendo diverse vittorie. Nel 1956 e nel 1957 l’Alfa Romeo produsse 17 vetture Giulietta Spider Veloce del tipo 750G, sviluppate dalla normale Spider Veloce (tipo 750F) per adattarle alle competizioni americane e alla 1000 Miglia. La Giulietta esposta è una delle quindici 750G che nacquero in questa versione “monoposto disassata”, mentre le altre due furono allestite come biposto, cioè con normale parabrezza panoramico.

La terza auto esposta è una Giulietta Sprint Veloce bianco avorio originale (1960). E’ un’auto che mantiene delle “contaminazioni” genuine e corsaiole dell’epoca, poiché molte versioni della “Veloce” erano impiegate in gare automobilistiche.